Un lampo, ragazzo mio
Il ragazzo cercò per un attimo di vincere la tentazione di guardare l’orologio, poi cedette alla curiosità e si accorse che mai nella sua vita aveva visto il tramonto ad un’ora così tarda della sera. Stava seduto, con il volto quasi attaccato all’enorme vetrata istoriata con le insegne del pub, bevendo distratto birra rossa. Senza staccare gli occhi dal sole, accarezzava lo zaino che teneva appoggiato alla sedia. Pensò che tutto quanto di importante egli possedeva, stava lì dentro, e si sentì molto più lontano di una spanna di carta geografica da casa sua, lontano come mai prima era stato.
Sentì un rumore alle sue spalle, forse un sospiro, od uno starnuto, uno sbadiglio. Si voltò di scatto, e qualche goccia di birra imperlò il sacco a pelo legato sopra lo zaino. Ad un tavolo posto qualche metro dietro il suo, stava seduto un uomo, del quale non avrebbe saputo dire l’età . L’uomo sorrise dietro le rughe di carta increspata, con l’aria di aver già capito tutto. Anche lui, dapprima, era rimasto a fissare l’isola calare nel buio; poi aveva notato il ragazzo, ne aveva osservato le scarpe da tennis affaticate, soppesato lo zaino e contato le macchie di sudore di treno sulla maglietta che portava. Rivide se stesso molti anni e molte migliaia di chilometri prima di allora; ricordò, nel breve volgere di una birra, le innumerevoli città che aveva conosciuto, i mille porti nei quali era sbarcato, la teoria di stazioni nelle quali aveva dormito aspettando coincidenze improbabile, ricordò doganieri inflessibili, pescatori malati, allergie inverosimili, puttane stanche. Ebbe come un capogiro quando tornò a fissare il ragazzo e sentì che non stava solo ammirando il tramonto, ma stava provando, a fianco del suo zaino, la sensazione di essere arrivato al capolinea di quella vita in miniatura che è un viaggio, ovunque esso porti. Dopo un attimo si riebbe, preparò la macchina fotografica con la quale si era guadagnato da vivere in tutti quegli anni, controllò il flash e tossì di una tosse che voleva essere notata.
Il ragazzo si voltò di scatto, ed in quel mentre l’uomo dalle rughe di carta increspata lo catturò con il flash nel suo obiettivo: “Un lampo, ragazzo mio” gli disse sorridente, “siamo solo un lampo”.
Ricordi di quando scrivevo (provando ad imitare – male – Gabito Marquez), e ricordi di un pub di Kyleakin, Isle of Skye, Scotland.
21/05/2003
Della blog-anagrafe, di speranze e dubbi
Dopo cinque giorni di copiosa affluenza, siamo arrivati – credo – al termine del sondaggio “Come hai detto che ti chiami?”. Lo deduco dal fatto che, seppure con un giorno di anticipo rispetto alle regole stabilite da Nostro Signore già ai tempi della Genesi, oggi i blogger hanno terminato le loro segnalazioni.
Benchè – ci tengo a precisarlo – io abbia avuto unicamente il “merito” di lanciare il sasso nel laghetto, vorrei dire grazie a tutti: a coloro che hanno lasciato i loro graffiti qui nella Squonk House, a chi mi ha scritto, a chi ha postato su altri blog collaborando alla raccolta (grazie Zeta; e se lo ha fatto qualcun’altro, che me lo faccia sapere, please), a chi mi ha linkato “creando traffico” (se mai ce ne fosse stato bisogno, ho avuto l’ennesima conferma della potenza di S.E. Massimo Mantellini).
Sono rimasto basìto, davvero, nel ricevere tante risposte (ho collezionato, al momento, 79 autobiografie; stimando in 15.000 blog l’universo italiano, si tratta dello 0,5% – mica male). Non voglio forzare la mano a nessuno, attribuendo intenzioni inesistenti. Dico la mia impressione: nella blogosfera – come nel resto dell’universo mondo – c’è una gran voglia di comunicare. La si percepisce, e se non avessimo un computer e centinaia di chilometri di cavi a dividerci, si potrebbe dire che la si avverte fisicamente.
E’ una cosa bella, credo.
Ho un solo dubbio, che riguarda me stesso e che, forse indebitamente, estendo a molti altri. Per comunicare, bisogna essere almeno in due: e fin qui, nessun problema. Ma per comunicare bene, bisogna curare le due fasi della comunicazione: bisogna saper parlare, in modo interessante e comprensibile; e bisogna saper ascoltare, con attenzione e partecipazione.
Io non lo so, se sono capace di ascoltare (e ascoltare bene, poi…). Mi piacerebbe che Squonk fosse un luogo di ascolto almeno quanto lo è di mia espressione personale. Ho paura che non lo sia, e mi chiedo quanti blog soffrono dello stesso problema.