L’Ambrogio
Ai suoi tempi, l’Ambrogio doveva esser stato un buon giocatore. Nè troppo alto, nè troppo basso, buon tocco, discreto colpitore, capace di uscire dalle buche. Insomma, uno che se la giocava alla pari con molti.
Non so che lavoro avesse fatto, l’Ambrogio. Ha la faccia da tranviere, ma per quanto mi riguarda è nato pensionato. E’ vedovo, l’Ambrogio, ed i suoi familiari sono i suoi compagni di stecca di ogni giorno, il Gino, il Tito, tutta gente che quando ti vede fare un tiro corto, uno di quelli giocati con il braccino, ti guarda con compassione e butta lì un “magna la micheta, fioeu” che gli spaccheresti la stecca in testa ma sai che hanno ragione.
Con il passare del tempo, l’Ambrogio guarda di più e gioca di meno. Ed in tanti lo apprezzano, per questo: dignità, ci vuole, e non bisogna togliere spazio a chi sta meglio di te.
Un giorno, l’Ambrogio non si presenta. Passa qualche ora, ed arriva il Gino, con il suo borsello e gli occhi rossi e gonfi. “L’Ambroeus l’è andà“. Ma come, cazzo, l’è andà?
Eppure. Lo hanno messo nella cassa con la stecca al fianco. I suoi amici giurano che è vero, che da anni diceva che avrebbe voluto così. E lo hanno accontentato. Ciao Ambroeus, ti sia lieve la terra.