L’Alberto
Non capivo cos’aveva, oggi, l’Alberto.
Certo, non è il miglior giocatore che fa scorrere la stecca su questi tavoli di periferia, ma di solito è affidabile, piazza qualche bel colpo, difende bene, se c’è un tiro comodo non lascia punti per strada: un buon mediano, insomma, e di buon carattere, uno che non alza gli occhi al cielo se tu, suo compagno in una goriziana tutti doppi, butti al cesso la partita con un raddrizzo del quale ti vergognerai per almeno una settimana. Uno che, piuttosto, sorride, e poi addirittura ti offre il caffè, roba che ti scaveresti la fossa con le tue mani.
Comunque, oggi non c’era verso di vedergli marcare un punto che fosse uno, e poi quella faccia terrea e malinconica che, una volta finito il massacro al quale siamo stati sottoposti, mi ha portato a chiedergli cosa c’era che non andava, se aveva mal di testa, e insomma non avrebbe dovuto sentirsi obbligato quando gli ho chiesto se voleva farmi da socio per una partita.
E lì, ecco, lì con il gomito appoggiato sul bancone mezzo unto e mezzo umido, lì è crollata la diga.
Lo ha lasciato la moglie. Così, da un giorno all’altro. Senza nemmeno dargli troppe spiegazioni: un taglio netto, ha detto lei. E basta. Addio. Ma come, cazzo, dico io, nessun preavviso, nessun segnale premonitore? No, no, le solite discussioni tra marito e moglie, anche belle discussioni, perchè sono tutti e due di buona cultura, leggono molto, si informano, hanno una visione del mondo che è già una gran cosa, di questi tempi. Certo, lui è un relativista, uno di quelli ai quali piace stare in pace con il mondo, e quando c’è qualcosa che non va pensa sempre se è colpa sua – e, sinceramente, questo lo rende il socio ideale per una partita a biliardo, ma non so per un matrimonio. E lei invece, da quello che lui mi racconta, è una di quelle donne solide, con le idee chiare, una persona forte ma non arrogante, una dalle opinioni nette. e chissà se in questo piccolo e parziale ritratto che l’Alberto mi dipinge con un indice che vaga nel vuoto e con un Campari nell’altra mano (un Campari, cazzo, lui che non beve alcolici) dice abbastanza di lei – e di lui.
Ma insomma, è andata così, come in un telefilm americano, come in un racconto di Carver, lei ha preso e se ne è andata. Basta.
E io sono lì, con gli occhi che girano da una parte all’altra del bar, con l’imbarazzo e il dispiacere che mi prendono fino alla punta dei capelli, perchè l’Alberto non è un amico, ma è di certo una brava persona e le brave persone non dovrebbero avere dispiaceri così, che insomma, cazzo, avrà pure lui le sue colpe – e chi non ne ha? – ma dico, boh, non so nemmeno cosa dire.
Tutto ciò che mi viene è offrirgli un’altra oretta di cinque birilli, così, per distrarsi, e sono contento quando lui dice di sì, e sono ancora più contento quando inizia a giocare e non sbaglia più una biglia, strisci, garuffe, raddrizzi, un cinque sponde che gli dico mavaffanculofiguratiseriesciarifarlo e lui, cinque minuti dopo me lo piazza ancora pari pari e insomma, non l’ho mai visto giocare così e forse non lo rivedrò mai più.
Ci salutiamo, con un pudore irragionevole, con gli abiti fatti di cotone, acrilico e Marlboro; io pago contento e lui ha un mezzo sorriso che gli sforma la bocca, mentre prende la strada per andare a casa, quella casa che ieri era piena di una donna amata ed oggi è vuota come un biliardo senza biglie e senza birilli.