|
|
30/07/2004
In un accesso di follia, ho deciso di andare in vacanza a tre chilometri dalla casa di Giulietto “Creatività” Tremonti. Data la scelta, non posso avere grandi aspettative per le prossime tre settimane, se non quella di tornare a casa trasformato in un commercialista forzitaliota.
PS1 – Questo post era partito come una terribile pippa intimista sui bad feelings pre-vacanzieri. Averlo mandato in vacca è stata una manifestazione di affetto e rispetto nei vostri confronti.
PS2 – ça va sans dire, chi di voi passasse nei dieci chilometri quadrati che stanno intorno a casa Tremonti, è pregato di farsi vivo.
29/07/2004
“… e c’è anche che le cose vanno cambiate spesso”. Mah.
Quattroeunquartoultimopost
28/07/2004
Sarebbe ora di sfatare la leggenda secondo la quale le trattorie sulle provinciali che collegano i più sperduti villaggi di questo paese sono luoghi nei quali si può godere di una cucina non raffinata, ma gustosa e sana – ed economica, che male non fa.
Non sarò fortunato, e di sicuro non ho una rete di conoscenze tale da mettermi al riparo da questi brutti incontri, ma ormai ho una certa esperienza – rafforzata oggi in quel della Statale 232, provincia di Biella (esiste, santodio, esiste davvero: la provincia di Biella, dico) – di paste dozzinali fin troppo al dente, burro e salvia perchè l’unica altra alternativa è il brodo, e secondi che ti invitano a saltare direttamente al dolce, per poi trovarsi di fronte ad una sola possibilità: il tartufo bianco affogato al caffè.
Oggi, l’unica consolazione è stata trovarsi al banco per bere il caffè insieme ad una decina di arzille settantenni, partecipanti alla più classica delle gite a diciannoveenovanta, dirette verso un qualsiasi santuario, in un pullman sovraccarico di pentole che cercavano nuove padrone.
27/07/2004
Anni fa – sei, sette – poco dopo il deposito dell’ATM di via Melzo, c’era una sala biliardo. Una vera sala biliardo, non un bar. Pochi tavoli, giocatori selezionati, fumo, alcoolici, occhiaie.
Non potevano giocare tutti. Ah, no. Si poteva prendere la stecca in mano solo su presentazione: si veniva introdotti al cospetto del padrone del locale, e se le garanzie date erano sufficienti, allora si potevano oltrepassare i cordoni che dividevano i tavoli (ed i giocatori) dagli spettatori. Perchè lì, in via Melzo, si andava a veder giocare i grandi: come a San Siro, o al Bernabeu, o all’Olympiastadion.
Si stava in silenzio, e si guardavano queste partite magnifiche, fatte di una quantità di colpi straordinari che noi, poveri mortali dalla mano tremolante e dal brandeggio incerto, mai avremmo potuto eseguire nella nostra vita di biliardisti.
Ricordo di aver visto Carlo Cifalà, nell’anno in cui diventò campione del mondo di cinque birilli. Una precisione, una pulizia, una implacabilità paurosa. Le partite a goriziana-tutti-doppi arrivavano ai quattrocento punti: lui, per avere un avversario, doveva trovare un altro professionista e dargli settantacinque punti di vantaggio. Di solito, vinceva.
Giravano cifre da paura, in quel locale, ma non si vedeva una banconota che fosse una. I giocatori, almeno i migliori, avevano un pool di finanziatori, con i quali dividevano perdite e vincite. Un giorno poteva voler dire quindici, venti milioni in più o in meno sul conto in banca.
Questa mattina sono passato davanti al deposito dell’ATM, ed ho iniziato a buttare l’occhio per ritrovare le serrande della sala biliardo. Ho trovato uno di questi locali fighetti (cafè, li chiamano: ma vaffanculo). Ho allungato il passo, ho pensato a Cifalà, alle biglie che scorrevano su quei tavoli, ai racconti che ci facevamo tornando a casa in metropolitana, alla stecca che non uso più ma dalla quale non mi separo, e sono invecchiato ancora un po’.
26/07/2004
Quanto è deprimente rendersi conto di essersi messo allo stesso livello di un figlio-della-madre-sempre-incinta?
24/07/2004
Ho concluso la mia settimana di tenutario del Diario dei Diari di Pordenonelegge.
Mi ha fatto piacere: essere stato invitato, ed aver scritto.
Eppure.
Leggendo i commenti alle amenità che ho scritto da queste parti durante gli ultimi giorni, notavo (senza sorpresa) che la gran parte di essi vengono da persone che conosco, e che frequentano il mio blog.
Da un lato, questo mi fa piacere: avere degli amici che ti seguono (così come tu fai di tutto per seguire loro) è una soddisfazione.
Dall’altro, devo pensare di aver scritto cose scarsamente interessanti per gli altri avventori del Diario dei Diari, che, infatti, non si son palesati.
Ho l’impressione che questo spazio subisca, settimanalmente, la sorte di tanti paeselli turistici: di tanto in tanto, vengono invasi da torme di estranei, che arrivano, se la cantano e se la suonano, parlano con il tono e con i termini che sono soliti usare a casa loro, e poi se ne vanno. Lasciando dietro di sè un po’ di tutto: soldi, cartacce, magari anche qualche cuore infranto (oddio, che immodestia).
23/07/2004
La mamma degli imbecilli (e dei boriosi, e dei maleducati, e dei so-tutto-io) è veramente sempre incinta.
Giornata di riflessioni non del tutto allegre, sul Diario dei Diari.
Da un po’ di tempo, il vostro eroe sta incrociando la penna con Massimo Mantellini, sulla spinosa questione della legge sulla privacy. Questa è tornata alla ribalta due giorni fa, grazie al nuovo provvedimento che il Luddista Maximo (non Mantellini: si chiama Stefano Rodotà) ha emanato in merito ai nuovi elenchi telefonici.
Qui e qui trovate cosa ne pensa Massimo.
Qui sotto, invece, posto il commento che ho lasciato chez Manteblog: a imperitura memoria, ed allo scopo di affossare il numero di accessi di questo blog.
Massimo, il punto che ti sfugge è che una regola, per avere senso e valore, deve essere applicabile, anche nella sua sanzione.
Tra l’applicazione corretta dell’opt-out system e l’applicazione corretta dell’opt-in system l’unica differenza consiste nel consentire o meno alle aziende di fare una prima comunicazione informativa, che ti (ci) mette a conoscenza della loro esistenza, della loro proposta.
L’intero approccio della legge italiana è stupido per questo motivo: a seguirlo, ci si impedisce a priori di conoscere e valutare. Non tutti hanno le capacità ed il tempo di mettersi a cercare ciò che gli interessa, navigando la rete piuttosto che le Pagine Gialle.
E poi: sinceramente, il fatto che una persona intelligente continui a prendere lo spam come esempio della bontà dell’approccio opt-in è sconfortante. Prima di tutto, perchè gli spammer delle leggi se ne fottono allegramente: per loro, opt-in e opt-out pari sono; cioè, non esistono. In secondo luogo, lo spam è un fenomeno che riguarda l’ambito della comunicazione elettronica, non quello della comunicazione cartacea, alla quale, però, si vuole comunque applicare lo stesso tipo di normativa. Le nostre cassette della posta non sono certamente intasate, Massimo: il numero di comunicazioni commerciali pro capite che un italiano medio riceve via posta è quattro volte inferiore a quello della Germania e sei volte inferiore a quello di Olanda e USA.
Vuoi qualche altro esempio? All’estero esistono interessanti forme di collaborazione tra istituzioni ed aziende per combattere lo spam: la Direct Marketing Association americana finanzia l’operato dell’FBI per rintracciare i big spammer, proprio perchè è chiaro a tutti che non si può mettere sullo stesso piano un’azienda onesta ed un delinquente. Oppure: in Gran Bretagna esiste un efficientissimo servizio, gestito da tutte le aziende che operano nel settore del marketing diretto, che consiste nella creazione di una lista nazionale delle richieste di cancellazione, utilizzabile da tutte queste aziende per evitare di inviare posta (e fax, e telefonate, e e-mail) a chi ha espressamente dichiarato di non volerle ricevere. Meno messaggi, maggiori ritorni, minori rotture di scatole. Basta il buon senso, ed un po’ di conoscenza. Ma noi, figurati: siamo italiani.
PS – Mettere sullo stesso piano gli spot televisivi e il direct mailing, perdonami, è segno di non conoscenza della materia. E non parlo di teoria della pubblicità, credimi.
22/07/2004
Gente, oggi si BlogRodea.
Dalle 12.45 alle 14.45. Il sottoscritto è il responsabile (in ogni senso).
|
|
|