Il Luis
Il Luis ha passato una vita sulle rotative del Corriere della Sera; turno di notte, anno dopo anno, chilo dopo chilo.
Chi ha avuto la ventura di vedere le sue fotografie di trent’anni fa, non è riuscito a riconoscerlo. Il metroecinquanta non è aumentato, i cinquanta chili sono raddoppiati. Sarà per quello, che non soffre il freddo: nessuno lo ha mai visto indossare qualcosa di più pesante di un dolcevita di lana, anche in pieno gennaio, quando gli aficionados della sala sono costretti dal freddo a sopportare la moglie e le soap per venti minuti supplementari che sono eterni come il mutuo, o come il conto che il Marco tiene sul quaderno sotto il registratore di cassa.
Il Luis è un vento allegro che passa sui tavoli della sala; da quando ha minacciato di morte il venditore della Folletto che gli suonava il campanello di casa almeno una volta alla settimana, riesce a dormire cinque ore filate al giorno. Non è tra i primi ad arrivare ai tavoli, ma non gli importa di dover aspettare delle mezz’ore prima di poter prendere la stecca in mano, costretto a guardare gente che sarebbe degna, al massimo, di passargli il gesso sul puntale. Mangia un panino, legge il giornale che lui stesso ha stampato quindici ore prima, ride e scherza in un milanese che neanche Carlo Porta, e al Gino verrebbe uno schioppone se venisse a sapere che il Luis mica è nato a Milano, e neanche, chessò, a Bareggio, ma in un paesino delle Marche.
Quando si stende sul biliardo per un giro e messa, il Luis sembra una balena spiaggiata: ma della balena ha la stessa grazia e dolcezza. Ha un tocco lieve anche quando tira di tutto braccio, i birilli cadono come coperti da un’onda di acqua di mare. Io, di solito, gioco sul secondo tavolo, quello di serie B, quello degli aspiranti e di quelli che non parlano milanese: dal Luis non ho nulla da imparare, perchè puoi studiare il taglio a tenere e il mezzo colpo, ma non certo la leggerezza. Spesso incrocio la stecca con il figlio del Luis, e glielo vorrei dire che suo padre, lì dentro, viaggia una spanna sopra tutti gli altri per motivi che non hanno a che fare con la teoria del diamante o con i puntali in lega, bensì con la vita: ma un figlio che sta lavorando per diventare più bravo del genitore, un giorno dietro l’altro a impilare tre sponde e garuffe e sfacci per poi presentarsi al tavolo ed avere la soddisfazione di mandare il padre alla cassa a pagare il conto, un figlio così non ha nessuna voglia di sentire la celebrazione delle virtù paterne. Così, sto zitto; tra un colpo e l’altro, mi passo un po’ di saponaria sulla mano, e butto un occhio verso il Luis: non imparo, certo; ma mi diverto e mi rassereno, e mi pare che non sia poco.
August 26th, 2004 at 15:46
Un giorno o l’altro li raccoglierà, i “cinque birilli” e ne farà un regalo di Natale, vero Sir?
August 26th, 2004 at 16:08
Beh, regalo di Natale mi parrebbe davvero pretenzioso.
August 27th, 2004 at 11:12
Regalo della Befana, almeno…