In Loving Memory
Florence War Cemetery – May 31st, 2006
Chissà chi sei, e cosa ci fai qui. Hai fermato la macchina davanti alla macelleria, dicono che la carne di questi posti è buonissima, hai camminato lungo la strada e sei entrato.
Lo so che è bello, questo posto. Il prato che sembra un tappeto, i fiori sempre freschi, le colline verdi, l’Arno che scorre una decina di metri più in basso. E’ bello anche in un giorno come oggi, con le nuvole grosse e scure, l’aria fresca e qualche goccia di pioggia.
Certo, sessant’anni fa, quando mi ci hanno portato, era tutto un po’ diverso. Non c’erano i tralicci dell’alta tensione, la statale era una strada sterrata, sui binari passavano le locomotive a vapore. E io ero vivo. Ero un soldato, un comunissimo soldato, il Private Allan Duncan, matricola 2759014. Un Private come quel Ryan, quello del film che tanto ti è piaciuto. Avevo ventiquattro anni, quando sono morto. A duemila chilometri da casa mia, da mia madre e mio padre – quelli che hanno scritto “In Loving Memory” sulla mia lapide. Non sapevo nemmeno dove mi trovavo, mi interessava solo sopravvivere e tornare a casa.
Non ce l’ho fatta, e come me tutti gli altri di cui stai guardando la tomba. Padri quarantenni, o ragazzini di nemmeno vent’anni come quello che vedi là, sulla tua sinistra. Neozelandesi, sudafricani, canadesi, inglesi, scozzesi, c’è addirittura un norvegese.
Ti chiederei di fare una cosa per me, ti chiederei di tirare un sasso nel fiume, per guardare i cerchi allargarsi nell’acqua, e sentire il rumore della pietra che affonda. Ma qui sassi non ce ne sono, e tu, comunque, non potresti sentirmi.
Fra tre o quattro ore sarai a casa, tu, con la tua camicia a righe e la cravatta che sbatte spinta dal vento. Saluterai tua moglie e tua figlia, mangerai un piatto di quella pastasciutta che dicono essere buona come la carne e che io non ho mai avuto nè il tempo nè la possibilità di assaggiare. Io, una moglie e una figlia non li ho potuti avere. Fai buon viaggio, e se puoi torna a trovarci.