A Milano, abito a cinque minuti di macchina dall’ippodromo. Non ci ho mai messo piede. Qui, sarà che l’albergo si chiama “Eremita” e ci vogliono far fare un po’ di vita sociale, ci danno i biglietti gratuiti per assistere all’ultimo programma di Maia Bassa.
Così, ci troviamo dentro questo catino, incastrato fra le caserme e le montagne, a guardare gli habituè, i cavalli, la torretta che segna i risultati, l’area dell’insellaggio dove finiamo pur senza una delle sette-otto tessere che definiscono le caste degli operatori ippici. E, ça va sans dire, ci troviamo al banco delle scommesse, dove il sottoscritto punta sul favorito e sul meno considerato dei sette equini che di lì a poco dovranno correre e saltare per tre chilometri e mezzo. C’è bisogno di dire che sono caduti entrambi? No, infatti.