Vuoi essere mio amico?
Il termine “amico“, di questi tempi, è usato con una disinvoltura eccessiva e sconsiderata. Basta aver bevuto insieme un caffè una volta per definire o essere definiti “amici“. E siamo tutti (o quasi) talmente abituati all’andazzo che non ci facciamo più caso – e addirittura ci troviamo in difficoltà se dobbiamo trovare non dico un sinonimo, ma un termine che indichi una forma di conoscenza anche cordiale, ma che con l’amicizia non ha (non ancora, almeno) a che fare. Ciò nonostante, a volte capita di essere messi di fronte al quesito in modo talmente brutale da risvegliarci dal torpore dell’abitudine. Per dire, oggi mi sono arrivati tre inviti a Tagged. Che dicono: XXX has added you as a friend. Is XXX your friend? Please respond or XXX may think you said no 🙁
Ora, lasciando perdere per un attimo l’orribile emoticon che chiude l’invito – e che riporto solo per necessità di cronaca – lo dico sul serio: non si fa così. No. Non c’è nemmeno bisogno di citare Moretti per ricordare che, cazzo, amico è una parola pesante. Non è giusto dover cliccare su “Yes” per non dispiacere e non è nemmeno giusto dover cliccare su “No” per mancanza di un’alternativa meno secca e manichea. E un sistema che, se clicchi il bottone sbagliato ti costringe a pietire attestazioni di amicizia a tutta la tua rubrica (già ipertrofica di suo, viste le brutte abitudini descritte più sopra) può essere definito solo come una cialtronata, quale che sia la sua “mission”. Forse non è vero che gli amici non sono solo quelli che si avevano all’età di dodici anni (e i tre inviti ricevuti, a scanso di equivoci, ne sono per me la riprova) – ma c’è modo e modo di farseli, e di farsi riconoscere come tali.