Greetings from Chicago – 11. Manca qualcosa
Naturalmente, cinque giorni qui e sei giorni là – New York, San Francisco, Atlanta, Orlando, New Orleans – non sono nulla: e poi, un conto è vivere in un luogo, passare attraverso il caldo dell’estate e il gelo dell’inverno, gli ingorghi del traffico, le bollette, la scuola dei bambini, e un conto è venirci da semituristi ai quali il fermo di dieci minuti di un treno della sopraelevata non crea nessun problema e anzi permette di guardare con un po’ di calma le facce nel vagone (ma dove vanno tutti quanti con queste magliette blu – ah, giusto, i Bears giocano in casa); però, ogni volta che vengo da queste parti provo anche una vaga e forse stupida sensazione di mancanza: a queste città, molte delle quali sono semplicemente magnifiche – almeno per quanto i (semi)turisti possono vedere, manca la tragedia, quella che da noi in Europa si trova ad ogni angolo di strada – via Rasella a Roma, i War Offices a Londra, i buchi lasciati dalle pallottole nei muri di Berlino, la stazione di Drancy da dove partivano gli ebrei parigini alla volta di Dachau, la casa di Anna Frank ad Amsterdam (e parliamo solo della seconda guerra mondiale, ma abbiamo almeno duemila anni di esempi alle spalle). Qui, al massimo si ricorda il Big Fire, il grande incendio del 1871; non so se questo vuol dire qualcosa, se questo spiega qualcosa dell’essere americani: mi tengo la sensazione, e mi godo il panorama.
October 17th, 2007 at 17:07
lo sa, vero, che qualche buontempone la accuserà di voler svilire l’11 settembre mosso dal suo viscerale antiamericanismo? io per me, direi che l’ipotesi è quantomeno interessante.
October 17th, 2007 at 20:24
Guardi, in primo luogo faccio fatica a credere che da tutto quello che scrivo traspaia un sia pur leggerissimo antiamericanismo, visto che qui mi ci trasferirei anche domani – e i presidenti cambiano, senza che sia necessaria la rivoluzione.
Detto questo, ammetto che all’11 settembre non ho proprio pensato, e l’obiezione mi pare valida; ma mi pare anche l’eccezione che conferma la regola; e ribadisco, gli esempi europei che ho portato sono limitati alla seconda guerra mondiale, e nemmeno la riassumono tutta: vogliamo parlare del ghetto di Roma o di quello di Varsavia, dei palazzi di Monaco e Norimberga dai quali Hitler concionava, eccetera? Vogliamo fare il conto di quante citta’ europee sono state spianate e ricostruite, spianate e ricostruite passando da un invasore all’altro? Gli americani hanno la pazzesca fortuna di non aver dovuto vivere tutto questo: il contrappasso probabilmente esiste, ma non ne sono tanto sicuro.
October 18th, 2007 at 13:56
Quel qualcosa manca perché gli statunitensi hanno rimosso molto bene la rimozione (si chiamò proprio “Indian Removal”) dei nativi, e non se ne vede traccia nelle loro bellissime città.
October 19th, 2007 at 20:09
i buchi delle pallottole nei muri di berlino li avevo notati anche io, e li cercavo sempre, e sempre mi venivano brivi a trovarli all’altezza delle mia pancia o del mio petto.