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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    16/11/2007

    Ha ragione mia moglie

    Filed under: — JE6 @ 16:27

    Sono abbastanza pigro da farmi crescere la barba.

    Un minuto

    Filed under: — JE6 @ 15:35

    Il titolare qui, in cambio di un package pizza-birra-caffè, ha contribuito a A-Tempo, blog temporaneo che si definisce collezione collettiva di dis-unità di misura.
    Il pezzullo è quello che trovate qui sotto, ma se lo volete leggere nella magnificenza di una grafica ad hoc, cliccate qui.

    Un minuto sopra la Groenlandia
    E’ strano. Dal momento in cui ti svegli è tutto un correre, un affannarsi, un guardare l’orologio o il display del telefono – sono in ritardo, ci sarà traffico, non riuscirò mai a fare il check-in, a che ora sarà il prossimo volo: una lotta contro il tempo, appunto (il che, se ci si pensa, è piuttosto folle: come è fatto il tempo contro cui si lotta? Che faccia ha? Il Don Quixote che combatte contro i mulini a vento sembra più savio di noi).
    Ma ce la fai, non sei così in ritardo, il traffico era mediamente scorrevole, riesci a fare il check-in e addirittura a scegliere il posto finestrino. Ma l’affanno continua, sei sul finger che ti butta nel ventre dell’aereo e pensi che devi ancora fare una telefonata e rispondere a due e-mail, e chissà se avrai tempo a sufficienza (sì, in genere ti regalano ancora un paio di manciate di minuti prima di obbligarti a spegnere tutto, bocca e cervello inclusi).
    E infine parti. Tra te e la meta ci sono dieci ore e un oceano. Passi le Alpi e la campagna tedesca, viri sui polder olandesi e le piattaforme del Mare del Nord, ti lasci alle spalle le Highlands e l’Europa tutta; leggi, dai un’occhiata distratta all’ennesimo uomoragno che salta sul microschermo piazzato sul sedile. Dopo un po’, guardi fuori dal finestrino: e tutto ciò che vedi è mare, il blu dell’Atlantico e il bianco dei ghiacci della Groenlandia. In quel momento ti chiedi che ore sono; ma dove? Insomma, sei a undicimila metri di altezza e in mezzo al nulla, il posto dove devi arrivare sta a quattromila chilometri di distanza – e lì sono le undici di mattina – il posto dal quale sei partito sta ad altri quattromila chilometri di distanza – e lì sono le tre del pomeriggio. Ma lì dove sei tu, che ore sono? E soprattutto, a cosa diavolo ti serve saperlo, visto che nel nulla non c’è tempo e che le hostess non si faranno certo impietosire dalle lancette del tuo quadrante per sganciarti un po’ di riso scotto e una coca-cola poco meno che tiepida? Torni a guardare le pieghe dei ghiacci e le creste delle onde, dove l’orologio si chiama sole, quel sole intorno al quale la terra gira epperò l’aereo sul quale ti trovi seduto gira in senso opposto così da far perdere senso anche al movimento della natura; confuso, chiudi gli occhi e provi a dormire, per essere poi gentilmente svegliato – “anything to drink, sir?“, e ti chiedi se hai davvero dormito, e quanto a lungo, e se un minuto sopra la Groenlandia vale quanto un minuto in Corso Buenos Aires o un minuto in Michigan Avenue.

    Greetings from Brussels – 4. Make-up

    Filed under: — JE6 @ 12:34

    Le città sono come gli umani che le abitano, quando si svegliano sono brutte. In realtà non sono brutte nel preciso momento del risveglio, quando aprono gli occhi ma hanno ancora la testa sul cuscino; lo diventano poco dopo, quando iniziano a muoversi, a fare colazione in fretta, a cercare gli abiti al buio e ad accoppiarli sbagliando gli accostamenti di colore, a stringersi la sciarpa intorno al collo, ad affannarsi senza correre. Ci pensavo qualche ora fa, attraversando il centro di Bruxelles in compagnia di non più di una decina di altre persone. Le strade erano vuote e calme, si intuiva una nuova giornata tersa e fredda come quella precedente. Poi, nelle viscere della stazione centrale si poteva entrare nello spettacolo degli uomini, i gradini tre alla volta, lo stridore dei freni, il fischio del capotreno, gli annunci in fiammingo, le spallate casuali, le borse negli stinchi, le occhiaie: il make-up era rimasto al piano di sopra.