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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    12/01/2008

    Noi

    Filed under: — JE6 @ 18:00

    A differenza di Massimo, sono riuscito ad arrivare in fondo al reportage di Ezio Mauro sui morti di Torino, i sette operai della Thyssen. Un articolo bello quanto possono esserlo, a volte, le cose dolorose, le storie tragiche. Un articolo che doveva essere scritto, e doveva essere letto.
    Ma converrà dire, a costo di essere sgradevoli, che il pezzo di Mauro alimenta un’idea di fondo sbagliata. A partire dal titolo (che non è suo, ma che è fedele – per una volta – al testo che segue), Mauro torna più volte sul concetto di invisibilità: l’operaio è invisibile, trasparente, non ha più uno status sociale. E’ questa l’idea sbagliata? No. Credo che sia vero. Ma è sbagliato pensare e far credere che questa sorte sia toccata solo agli operai. Fermatevi per un momento a pensare, fate mente locale, considerate il pezzo di mondo che conoscete: di quante persone, voi inclusi, potreste definire con una qualche precisione non dico il ruolo sociale, ma il lavoro? Quanti bambini oggi sono in grado di spiegare che cosa fanno i loro genitori per portare a casa lo stipendio? Non è solo questione di precariato, che oggi fai l’assistente di direzione e domani la commessa e dopodomani l’autista per UPS. Ieri provavo a fare sfoggio di autoironia snocciolando ad un’amica le tronfie cariche che riempiono il mio biglietto da visita (un modo per dire “beh, tu mi conosci, ti pare che io possa davvero essere questo?”), ma la realtà è che mi mancano proprio le parole per spiegare, a me stesso per primo, che cosa cazzo faccio nella vita lavorativa. E so benissimo di non essere solo, in questa condizione.
    La realtà è che siamo cresciuti nutrendoci di questa immane puttanata del culto dell’individualità: io, io, io. Io sono questo, io faccio quell’altro. Io. E a forza di “io” ci siamo persi per strada il “noi”, abbiamo finito per credere che l’essere uguali agli altri sia una cosa brutta, della quale vergognarsi. Ma facendo evaporare il “noi”, ognuno è miseramente scomparso: salite su un vagone della metropolitana alle otto del mattino, e dite in tutta onestà quante persone potete riconoscere per quello che fanno – forse giusto quella guardia giurata appoggiata alla parete là in fondo, con il cappello storto, la pistola nella fondina e gli anfibi opachi. Non sono diventati invisibili solo gli operai: è successo lo stesso agli insegnanti, ai ferrovieri, agli impiegati di banca, a praticamente chiunque. Siamo tutti manager: marketing manager, key account manager, community manager. Ognuno convinto di essere qualcuno per il solo fatto di esistere, e gli altri affanculo.
    Mantellini, Repubblica.it