Mir Dad Khan era nato in India, in un piccolo paesino di un paese enorme; ma era nato nel momento sbagliato, aveva l’età giusta per essere chiamato dall’esercito a combattere una guerra in luoghi lontanissimi dei quali nessuno nel suo villaggio aveva mai sentito parlare. Si ritrovò a indossare la divisa del 16th Frontier Force Rifles, e venne a morire nel giugno del 1944 su una collina dalla quale si poteva vedere un fiume tranquillo scendere verso la grande città e poi verso il mare: si lamentò in una lingua che nemmeno tutti i suoi compagni potevano comprendere, la vecchia lingua dei suoi nonni e dei suoi bisnonni, e per un brevissimo istante, mentre cercava di sopravvivere, gli riaffiorò la domanda che si era fatto mille volte in quei mesi lontano dalla sua casa: dove sono? E cosa ci faccio qui? Aveva 17 anni.
Pochi giorni dopo la stessa sorte toccò al Guardsman J. A. Eastwood, di 21 anni, e al Private S. Harris, che di anni ne aveva 19, e ad altri 1634 ragazzi e uomini venuti dalla Gran Bretagna, dalla Nuova Zelanda, dal Canada, dall’India e da Dio sa quale altro esotico paese. Tutti qui, sulle colline di Fiesole e del fiorentino, i più giovani a lasciare madri, padri, fratelli e sorelle, i più anziani – se così si possono definire uomini di trentadue anni – anche mogli e spesso figli.
Molti anni dopo, un uomo si sarebbe fermato a bere un caffè al circolo ARCI di Girone, e poi si sarebbe incamminato verso quella distesa di lapidi bianche; l’uomo si sarebbe fermato a leggere il registro dei visitatori del cimitero, dove avrebbe trovato le parole di persone venute dall’altro capo del mondo (To our only and dear uncle for whom war never offered the chance to meet. May you rest in peace. Keith, Ross & Bruce, Auckland,NZ ) e quelle, vergate con grafia incerta e grammatica zoppicante, di uomini che avevano fatto solo pochi chilometri per mormorare un Eterno Riposo (Grazie a voi x libertà con la vosta vita); l’uomo sarebbe poi passato davanti alle lapidi, ognuna con il nome, il grado, il corpo, la data di morte e una frase di ricordo (When you go home tell them of us and say: for your tomorrow we gave our to-day), e sarebbe andato a guardare l’Arno scorrere lento e sporco qualche decina di metri più in basso; l’uomo avrebbe notato degli incongrui gherigli di noce sull’altare sul quale è incisa la frase Their name liveth for evermore, e sarebbe poi uscito a testa bassa per riprendere la sua macchina e andare a parlare di affari.
[Florence War Cemetery, 22 gennaio 2008]