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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    28/03/2008

    Sa colora

    Filed under: — JE6 @ 07:58

    Non riusciva nemmeno a ricordare quando aveva preso il treno per l’ultima volta. Cinque, dieci anni prima, forse. Ma adesso l’automobile era ferma dal meccanico, e lui doveva per forza andare a quell’appuntamento. Uscì dal tunnel della metropolitana, e si stupì di quanto e di quanto poco fossero cambiate la stazione, e la gente che la popolava. Fece un gesto furtivo, del quale si vergognò immediatamente, andando a controllare se il portafogli era ancora al suo posto. Lo era. Diede una veloce occhiata all’edicola, scorrendo velocemente con gli occhi le prime pagine dei quotidiani e le copertine dei romanzi pornografici; si chiese chi potesse mai comprare la scadente riproduzione di una gondola veneziana, e subito dopo si rispose, semplicemente guardandosi intorno.
    Decise di andare a sedersi sul treno, nonostante il largo anticipo con il quale era arrivato; quando si trovò davanti alla grande scala mobile che collegava il piano della biglietteria con quello dei binari, si ricordò di una vecchia storia di famiglia, un fatto successo quando lui non era ancora nato: gli avevano raccontato che sua nonna, una piccola donna analfabeta che aveva affrontato il viaggio dal suo microscopico paesino verso la grande città così come lui sarebbe andato dalla grande città in Antartide, trovatasi di fronte per la prima volta in vita sua a quella striscia di gradini in movimento era scoppiata nella più lunga, calda e fragorosa risata di tutta la sua vita, chiedendo nella sua lingua natia “itt’este custa colora? cos’è questa biscia?”. In quel momento, abbacinato da quel ricordo, si rese conto che sua nonna gli mancava moltissimo, e realizzò che quella piccola donna analfabeta, che non aveva mai visto nè una scala mobile nè mille altre cose che lui trattava con saputo disincanto, aveva invece conosciuto una vita e un mondo che lui non riusciva nemmeno ad immaginare, e la riconobbe per la prima volta come una donna fortunata e ricchissima. Una ragazza arrivò trafelata alle sue spalle, e lo urtò nel tentativo di scansarlo per correre su quella scala mobile e non perdere il treno che stava per partire; voltandosi, senza smettere di correre, gli chiese scusa, ma lui non la sentì: era fermo, in piedi, davanti alla biscia di metallo che usciva dal pavimento. E rise, come non faceva da tanto tempo, da ancor prima di prendere l’ultimo treno di cui riusciva a ricordarsi.