In attesa che mia figlia emigri
E insomma, domani si torna a votare.
Credo che lo farò, per abitudine e anche per una certa vergogna – vergogna di non esercitare il diritto e di non ottemperare al dovere (civico).
Lo farò senza particolare entusiasmo, più con la paura della sconfitta – alla quale, essendo genericamente di sinistra, sono comunque piuttosto abituato – che con il desiderio della vittoria.
Non voterò uno dei “piccoli”, non perchè sia convinto del cosiddetto “voto utile”, ma per rendere “inutili” i piccoli medesimi – almeno a questo giro.
Lo farò vedendo che nessuno, ma proprio nessuno tra coloro che conosco e leggo, ha un briciolo di fondata speranza; immaginando – senza peraltro avere il coraggio di farlo – quanto sarebbe straordinario e rivoluzionario e decisivo se alle 15 di lunedì gli exit poll dessero 0 (zero) a tutti, ma proprio a tutti, e un clamoroso 100% a… boh, la SVP? Così, per vedere finalmente lo smarrimento più completo negli occhi di tutti tranne Durnwalder, tutti a chiedersi “ma come cazzo è stato possibile”.
Ecco, questo è quanto. Lo farò, e poi lunedì al lavoro, e per fortuna martedì e mercoledì me ne vado in Belgio, che almeno stanno messi un po’ peggio di noi, per quanto questo possa suonare impossibile.
[Poco fa mi è capitata sotto mano la scheda elettorale. A partire dal 2001, ho contato 11 timbri. Mi sono sforzato di ricordare per cosa ero andato a votare, ma sono arrivato a coprire non più della metà delle mie gite al seggio – e forse anche questo vuol dire qualcosa]