Bastavano nove minuti
Ieri sera sono stato per un’oretta a guardare Diego in quel di Matrix, a rispondere alle domande dell’uomo-a-cui-cade-il-mento-se-non-lo-sorregge-con-la-mano-destra in compagnia di autorevoli giornalisti ed economisti. Siccome dello sdoganamento mediatico della blogosfera non mi interessa nulla, a costo di inimicarmi mezza blogosfera dirò che – come lui stesso ha ammesso nella prima frase pronunciata – Diego poteva starsene tranquillamente a casa: ciò che aveva da dire lo aveva espresso tutto, e nel modo più chiaro, sintetico ed efficace – in quei nove minuti di video con i quali l’uomo-a-cui-cade-il-mento-se-non-lo-sorregge-con-la-mano-destra aveva deciso di far partire la trasmissione. Antonio Polito, in un inusitato sprazzo di paracula sincerità, aveva dichiarato che secondo lui e la sua redazione non c’era proprio nulla da aggiungere a quel “drammatico documento”. Polito aveva ragione; purtroppo, man mano che il tempo passava, Diego Bianchi in arte Zoro assomigliava un pochino di più (poco, ma sempre troppo per uno come me che lo apprezza e se ne ritiene amico anche se in versione necessariamente light) a Polito che gli stava a fianco. Diego non è e, per quel che lo conosco, non sarà mai un nano o una ballerina. Però mi piacerebbe che non corresse il rischio di diventarlo, frequentando l’equivalente catodico delle terrazze della sinistra romana.
Zoro