Tre gradi di desolazione (per tacer degli altri)
La faccenda della pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi online è sinceramente disperante per molti motivi, tra i quali non includo l’illegalità – come mi pare che spieghino bene sia l’Agenzia delle Entrate sia uno dei membri della Commissione Centrale Tributaria.
Mi pare desolante, pur riconoscendo la forza e l’importanza del cosiddetto controllo sociale, che il Fisco punti a rendere ciascuno di noi controllore dei suoi vicini di casa: come dice l’Agenzia delle Entrate stessa, “la ratio della norma è quella di favorire una forma di controllo diffuso da parte dei cittadini rispetto all’adempimento degli obblighi tributari”. Cosa si vuol fare, stimolare la delazione in base a dati vecchi e incompleti? Per quanto ognuno di noi può sapere dell’altro, lo stile di vita ha legami a volte piuttosto tenui con il reddito dichiarato, e il tutto senza alcuna violazione della legge.
E’ altrettanto desolante il voyeurismo da pianerottolo che queste liste hanno scatenato. E non parlo dei “poveri” che puntano il dito contro i “ricchi”: chè anzi, in quel caso entrano in gioco ammirazione e partigianeria, quello che è giusto che Del Piero guadagni più di Totti e quelli che Totti è giusto che guadagni più di Del Piero e tutti che si accalorano come se stessero parlando del proprio, di stipendio. No, parlo di quello tra parenti-serpenti, tra condomini, tra amici non proprio fraterni: l’invidia del 730 al posto in aggiunta all’invidia del pene.
E’ ulteriormente desolante l’ignoranza abissale con la quale vengono trattate le cifre pubblicate; qualcuno crede che Silvio Berlusconi non sia l’uomo più ricco d’Italia? Eppure, se non ricordo male qualche mese fa ho letto che il futuro PresDelCons viene battuto da Leonardo Del Vecchio, il maggiore azionista di Luxottica. A dimostrazione che essere molto ricchi serve anche a dimostrare di non esserlo così tanto: basta essere in grado di pagare uno o due buoni fiscalisti, saper approfittare delle opportunità offerte dalla legge, e voilà. E nel nostro piccolissimo di (ex) appartenenti al ceto medio, i file che girano su eMule mica dicono delle macchine aziendali, dei cellulari utilizzabili full-time, delle case comprate con i soldi dei genitori e così via.
Mi fermo qui, ma purtroppo l’elenco potrebbe continuare a lungo (vogliamo parlare di quelli che chiamano il loro giornale “Libero Mercato” e poi pubblicano le liste dei veri o presunti ricconi, ottenendo uno splendido effetto di puntamento-del-dito veramente liberista; e della finta ingenuità di Prodi e Visco, vogliamo parlarne? E dell’approssimazione tecnica con la quale i dati sono stati resi fruibili? Ecco). Non so, a me pare tutto estremamente, terribilmente italiano. Business as usual, insomma.
Repubblica.it, Wittgenstein, Il Sole 24 Ore
May 6th, 2008 at 15:16
Vorrei far mettere a verbale che questo ritratto del consultatore di liste di redditi sta molto negli occhi di chi lo fa e insospettisce circa possibili code di paglia: io non ho nessuna difficoltà a ripetere che mi sono divertito a leggere le liste senza nessuna acrimonia per nessuno, né sentendomi meschino, invidioso o parente serpente. e così so di molti. Anzi, ora vado a cercare il tuo di reddito. Così, per curiosità, come ce l’ho per la tua data di nascita. E perché io penso che non ci sia niente di male né da nascondere nei propri guadagni: vorrei che qualcuno mi raccontasse di essere stato sputato in faccia dal portinaio, prima di sentire ancora questa storia dell’abietto voyeurismo degli italiani. Altrimenti, mi sento in diritto di sospettare di chi la diffonde. L.
May 6th, 2008 at 15:54
Vorrei far mettere a verbale che l’eccellente commentatore non solo si concentra solo su uno dei gradi di desolazione, accuratamente evitando gli altri: ma anche che attribuisce all’estensore del post un desiderio di generalizzazione che l’estensore medesimo non prova. In altre parole, Luca: io non dico che tutti si stanno comportando come ho scritto; ma non offendiamo le reciproche intelligenze sostenendo che tutti invece si comportano come te (di me non parlo: chi si loda s’imbroda) e coloro che tu conosci. A parte il fatto che la buona educazione impone di dissimulare incazzature e invidie, si potrebbe pure sospettare che le invidie stesse siano proporzionalmente più presenti tra noi più comuni mortali, e che le differenze di status abbiano un qualche impatto sul modo in cui certe informazioni vengono percepite e usate. Il tutto per dire che ho scritto di cose viste e sentite: libero di non credermi, naturalmente.
Detto questo, puoi tranquillamente ripassare da queste parti e pubblicare il mio reddito (la data di nascita è 28 settembre 1966, ti risparmio la fatica: il codice fiscale si fa in fretta a ricostruirlo): sapendo che è un’informazione inutile, per i motivi che ho cercato di spiegare sopra – i fringe benefits, il tempo che passa, gli investimenti immobiliari, eccetera eccetera. Io mica ce l’ho con chi ha dato l’okay alla pubblicazione, anzi. Finchè i miei soldi sono guadagnati onestamente, posso essere invidioso di chi sta meglio di me ma non ho da vergognarmi di me stesso. Solo, quei dati sono molto spesso inutili quando non addirittura fuorvianti. Almeno questo, come dato oggettivo, consentimelo.
May 6th, 2008 at 16:41
Visco un grande, comunque.
[detto da uno talmente voyeur da essersi andato a guardare anche il reddito del compagno di banco delle elementari (e sì, nel 2005 si è smazzolato 10.000 euri di più, il bastardo)]
May 6th, 2008 at 17:05
Te lo consento, come ti consento che tutto sia stato fatto male, e i dati siano assolutamente vaghi ed equivoci. Non vedo tutte queste faide di pianerottolo, ecco: a parte quello stronzo che ha un programma su radiodue la mattina e guadagna il doppio di me. L.
May 6th, 2008 at 17:22
io lo trovo utile invece.
sapere i gudagni degli ex fidanzati mi da incredibili chiavi di lettura su “quel che me son persa”. per non parlare degli attuali, che per alcuni col cazzo che mi faccio scrupolo al ristorante. per dire.
(ecco un esempio del ceto medio, ammetto)
May 6th, 2008 at 21:36
non essendo dati sensibili, lo scandalo o la disperazione che deriverebbe dal loro essere pubblicati mi è poco chiaro. peraltro, come giustamente noti al punto tre, non è in questione il dato di quanto si guadagna, ma di quanto si dichiara, ergo di un atto che è intrinsecamente pubblico – esprime dal punto di vista economico il rapporto di fiducia tra sé come individuo e la collettività di cui si fa parte, in forma appunto di “dichiarazione”. Non mi pare quindi così incredibile che tale dichiarazione, pubblica all’origine, divenga pubblica anche in termini di “restituzione” (poi si può discutere le modalità, non dico di no. E in effetti certi file txt così grandi sono poco maneggevoli, potevano usare qualcosa di un po’ più moderno). Mi pare altresì chiaro che la ratio di controllo pubblico della credibilità del dato (quello dichiara niente ma poi gira in ferrari) sia piuttosto teorica, più che altro simbolica. Credo di capire che nella critica si associ a questo evento un po’ del (pessimo) giustizialismo dilagante, ma onestamente mi pare un errore di prospettiva: il giustizialismo purtroppo c’è e se va ad allinearsi a un principio di trasparenza è un peccato, ma non è colpa della trasparenza. Le invidie ecc. poi essendo sentimenti umani non mi scandalizzano punto, e sono anche un bel po’ legate alla novità dell’atto (se non sbaglio – magari è una leggenda metropolitana fiorita in questi giorni – in svezia la cosa accade da 30 anni senza grandi scandali, e non che tutto quel che fanno in svezia sia bello, eh. Diciamo il 75-80%).
May 7th, 2008 at 11:46
Potrei sbagliarmi (in questo campo il padrone di casa ne sa certo più di me), ma mi pare che il problema fondamentale della diffusione dei dati sia stato di ignorare un principio introdotto dalla legge sulla privacy: che le informazioni, che hanno un valore anche economico, sono di proprietà dell’interessato. Se qualcuno vuol sapere quanto guadagno lo viene a chiedere a me: se mi sta simpatico, o se sono tenuto per legge, glielo dico; se mi sta antipatico non glielo dico; se mi conviene gli chiedo qualcosa in cambio. Ma se qualcun altro che conosce questi dati per motivi d’ufficio li diffonde pubblicamente, sta annullando il valore di qualcosa che è mio.
La trasparenza non vedo cosa c’entri: l’amministrazione pubblica deve essere trasparente sui propri atti, ma ogni cittadino dovrebbe essere libero di decidere se e quanto essere trasparente sugli affari propri. Se, sempre in nome della trasparenza, una società di telemarketing avesse chiesto e ottenuto i dati delle dichiarazioni di tutti gli italiani, ci andrebbe bene?
Poi, non sono totalmente contrario alla pubblicazione: ma non sono ancora riuscito a sentire nessuna motivazione solida che superi il principio che ho esposto prima.
May 7th, 2008 at 16:02
lester, invece a quanto capisco il garante non contesta il fatto che tali dati siano “pubblici” – quindi io non devo affatto chiedere a te, ma allo stato – ma la modalità della loro “pubblicazione” (indiscriminata e senza filtri – internet). qui li discorso è più scivoloso, infatti io sento un po’ rumore di unghie sui vetri ma è un problema mio
May 8th, 2008 at 14:02
A me risulta che non solo in Svezia da 30 anni, ma anche in Italia dal 1973 (se non erro) le dichiarazioni dei redditi siano pubbliche.
Difatti nessuno degli addetti ai lavori contesta il fatto che lo siano, ma le modalità della pubblicazione. Internet è troppo comodo e facile, è in sostanza la questione: siccome siamo pigri del fatto che fossero disponibili anche prima non ci siamo pressoché accorti, troppo sbattimento andarsele a cercare.
Ma a mio – personalissimo – parere come non si può essere ‘un po’ incinta’ non si può essere ‘un po’ pubblica’. O sono dati sensibili e quindi la legge del ’73 va cambiata, o non lo sono e di conseguenza le dichiarazioni restano pubbliche. E pubblicabili. Dopodiché, come per ogni cosa pubblicata, se qualcuno ritiene di essere stato diffamato, offeso, danneggiato eccetera, agirà di conseguenza.
Il mio reddito, peraltro, contando quanta gente ormai lo conosce al centesimo tra banche, finanziarie, finanziarie di credito al consumo, Comuni, scuole, commercialisti vari, uffici del personale, sindacati che mi hanno calcolato l’ISEE, parenti, consulenti – nonché impiegati e addetti di ogni ordine e grado dei suddetti uffici – sinceramente che lo sappia anche il mio vicino non mi fa né caldo né freddo.
Sarà perché, nello specifico, non corro certo il rischio di generare invidie.
Quello che mi pare ridicolo è pensare che possa essere pericoloso: per andare a rapinare in una sontuosa villa con piscina non serve compulsare la dichiarazione dei redditi, basta la villa. Come difatti è benissimo bastata finora.
Ancora più ridicolo mi pare che l’attuale aspirazione forsennata alla visibilità e alla rappresentazione ostentata della ricchezza si scontri con questa strana ritrosia.
Il mio dubbio è che una gran quantità di gente non voglia che si conoscano i suoi redditi non perché tenga a far finta di essere più povero, ma perché si sforza in ogni modo di far finta di essere molto, molto più ricco di quanto sia. Non l’invidia, lo smascheramento si teme, temo.