Ripartire, riprovarci, avere ancora vent’anni
Era l’agosto del 1986, quando il titolare qui e il suo miglior amico partirono, zaino in spalla e InterRail in tasca, alla volta di uno sperduto paesino a nord di Perth, nella Scozia meridionale. I due arrivarono, dopo un viaggio omerico fatto di treni rincorsi nella campagna francese, attraversamenti notturni dei docks di Calais, partite a carte nei terminal navali, pianti infantili londinesi, pullman improbabili e camminate interminabili, a raggiungere un prato nel quale avrebbero piantato la loro canadese in compagnia di una manciata di britannici, quattro polacchi arrivati da Katowice a bordo di una 126, una tedesca e un biondo camp manager nativo dello Zimbabwe. Per una settimana i due avrebbero raccolto, pagati a cottimo, fragole e lamponi, unendosi nella fatica ad una folle Babele fatta di spagnoli, indonesiani, canadesi, francesi e Dio sa chi altro ancora. Per una settimana i due si sarebbero spezzati la loro schiena di studentelli di città, spendendo nel pub del villaggio le poche sterline guadagnate inginocchiandosi nei campi umidi, dove avrebbero incongruamente battuto gli amici inglesi a pool e dove sarebbero stati altrettanto incongruamente battuti a briscola. Per una settimana i due sarebbero stati lo zimbello del camp per la loro improduttività, e per una settimana i due sarebbero stati le star della grande roulotte che fungeva da cucina del campo, grazie agli spaghetti Barilla, ai sughi pronti Cirio, al parmigiano reggiano e al caffè Lavazza. Per una settimana i due avrebbero dormito intabarrati in pesanti giubbotti, avrebbero provato a sfamarsi durante il giorno mangiando fragole enormi, dure e insapori, avrebbero provato a lavarsi con scarsi risultati e avrebbero vinto la sfida calcistica Gran Bretagna vs. Resto del Mondo.
Dopo una settimana, i due sarebbero ripartiti, e nei dieci giorni successivi avrebbero macinato poco meno di diecimila chilometri, guardando la baia di Kyleakin nell’isola di Skye, evitando gli hooligan del Celtic sul treno per Londra, facendosi fermare dalla polizia francese in una retata antidroga in una piazza di Lille, accompagnando un gruppo di operai belgi fino a Tournai, dormendo tra i binari della stazione di Bruxelles, passando davanti alla casa di Anne Frank (e poco dopo alle vetrine del red light district) di Amsterdam, assistendo ad una copula nemmeno tanto silenziosa in uno scompartimento del treno per Copenhagen, sbronzandosi ai tavoli della Carslberg, facendosi buttare fuori dalla stazione della stessa città alle due di notte, prendendo il primo treno della mattina per andare chissà dove e quel chissà dove finì per essere Helsingborg dove videro il castello dell’Amleto e dove presero un traghetto che gli fece toccare per qualche ora il suolo svedese, riattraversando tutta la Germania per pisciare nella Hauptbanhof di Monaco e provare a scrostarsi in un’ansa riparata del lago a Friedrichshafen dove vennero attaccati da un cigno a difesa dei suoi piccoli, arrivando stremati in Italia con cinque chili in meno a testa, e cinquemila lire come somma degli averi contenuti nei due portafogli.
Molti anni dopo, leggendo il più classico degli articoli sulle “estati dei giovani”, i due amici si sarebbero ricordati della più bella estate della loro vita, e avrebbero provato il desiderio di ripartire, di riprovarci, di avere ancora vent’anni.
Repubblica.it