Leggendo l’incipit di questo post del socio dell’Urbe (“I blog sono pieni di stronzate, e provare a correggerle è come tentare di svuotare il mare col cucchiaino.”) non ho potuto fare a meno di pensare che un giudizio tanto perentorio io non sarei mai in grado di darlo, per il semplice motivo che da moltissimo tempo – diciamo un quattro anni, grosso modo – frequento in modo costante solo qualche decina di blog. Questi erano già pochi in passato; oggi – data la crescita esponenziale della numerosità di tutto l’ambiente – non rappresentano che una goccia microscopica nell’oceano: e quindi non sono rappresentativi di nulla, per manifesta irrilevanza del campione statistico.
Fatta questa premessa di metodo, che ovviamente vale per me ma che credo dovrebbe valere a carattere generale quando si danno valutazioni sull’universo mondo, ribadisco qui quel che ho scritto nei commenti da Carlo: per quanto mi riguarda non ho mai smesso di informarmi “fuori”, pur nella consapevolezza che quel “fuori” era ed è pesantemente imperfetto. Size matters, e le strutture e le risorse che chi fa informazione in modo professionale può mettere in gioco sia per la raccolta che per la verifica dei dati non sono minimamente paragonabili a quelle che noi, pigiatori amatoriali di tastiere, possiamo anche solamente sognarci di avere a disposizione. Poi, certo: basta leggere le notizie che non lo erano per toccare con mano quanta approssimazione e pigrizia e sciatteria alberghino nelle dorate stanze delle redazioni, ma ciò nonostante continuo a pensare che in generale l’informazione che ci arriva dal sistema dei media sia complessivamente più affidabile e curata di quella che viene dagli pseudo citizen journalists.
Tra un po’ – ma sempre troppo tardi – io credo che finirà la sbornia infarcita di retorica dei mercati come conversazioni, del social, della conoscenza condivisa. Credo che (mi si perdoni l’autocitazione che segue) ci si renderà conto che sì, certo, i mercati sono conversazioni: e infatti si sentono anche un bel po’ di fesserie, e che le conversazioni non hanno un valore in sè, per il semplice fatto di esistere, date retta a uno che ha passato troppi anni della sua vita al bar (e nelle aziende) per non saperlo fin troppo bene.
Alla fine credo che il sistema del blog, almeno in questo nostro sciagurato paese che fa dell’irrilevanza e dell’aria fritta due capisaldi della sua vita sociale, sia capace di fare molto bene un paio di cose: far conoscere persone, e raccontare la vita quotidiana, in una sorta di “A day in the life”. Leggere i blog, leggere di chi si compra cravatte o di chi trova piccioni morti per strada, può servire proprio a questo: a scriversi la Storia mettendo una in fila all’altra tante storie. Tutto sommato, per quanto mi riguarda, questo può bastare e avanzare, per il resto magari un abbonamento all’Economist è una scelta più saggia.
Brodo Primordiale, Wittgenstein, Squonk