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30/07/2008
Cercare energie residue è un modo perfetto per perderle definitivamente.
29/07/2008
Posso solo immaginarne il motivo, visto che mi sono fermato per troppo poco tempo per essermi fatto un’idea precisa. Ma vedo un sacco di menù di ristorante scritti in cirillico, e due o tre negozi sono gestiti da donne sicuramente slave, probabilmente russe. E’ straniante pensare a questo pezzo di Italia che è formalmente straniero e che sembra popolato da gente venuta da mille miglia lontano da qui.
Mi fermo davanti ad un’edicola a leggere le prime pagine dei quotidiani locali. C’è una sigla che suona al tempo stesso familiare e aliena. La rileggo per essere sicuro di non avere le traveggole. E’ proprio quella, qui hanno ancora la DC, Democrazia Cristiana (anche noi in Italia, dite? Già, forse sì).
Non ero mai stato a San Marino. D’altra parte, non sono mai stato in un sacco di posti. Comunque, ho un paio di ore libere e sono a una ventina di chilometri, forse meno, prima di scapicollarmi verso Cesena e poi Imola e poi Bologna, e in fondo un viaggio all’estero non mi è mai dispiaciuto.
La prima cosa della quale mi rendo conto è che la Repubblica di San Marino è qualcosa di più del paesino accucciato in cima alla collina: e, sia detto con rispetto, questo è il suo difetto principale vista la pochezza scenica di ciò che si vede mentre si mangiano curve a settanta all’ora fino ai grandi parcheggi numerati in fondo alla strada.
La seconda cosa della quale mi rendo conto è che San Marino, inteso come paese e non come repubblica, non esiste: quel che attraverso, accaldato nella mia divisa da lavoro in mezzo a comitive di gitanti, è un ammasso di bar, ristoranti, banche e negozi di souvenir. Nient’altro. Una Vaduz in Romagna, per dire.
La terza cosa della quale mi rendo conto è che è impossibile che qualcuno ritorni a San Marino: non ce n’è motivo. Sono certo, intimamente certo, che siamo tutti qui per la prima volta. E anche l’ultima. Domani toccherà a cinquanta altri pullman.
28/07/2008
Tra qualche giorno stacco. Da buon italiano me ne vado in vacanza, un paio di settimane nei mari del Sud. Nel frattempo, domani mi faccio un giro tra Romagna e Emilia, e i due giorni successivi li passo a Roma, tanto per non perdere l’abitudine: che a me non dispiace, ma questo si sa.
Sempre nel frattempo, penso alle vacanze, e come sempre mi capita in questo periodo mi chiedo a cosa servono. Un po’ di riposo fisico, forse. Quello sì, e di quello ce n’è bisogno. Ma per il resto, non so. C’è in giro questa voglia di catarsi, e mi pare fantastico nella sua ingenuità questo voler credere che stendersi sulla spiaggia di Riccione – o su quella di un’isola greca, mica fa differenza – ti possa rigenerare, restituendoti nuovo e migliore all’umanità: la quale, ovviamente, si sarà stesa anch’essa su quelle stesse spiagge e quindi dovrebbe tornare trasformata proprio come te.
Mi affascina la fiducia che in tanti ripongono in questo momento, l’impegno che ci mettono perché questo sogno a tre stelle colazione inclusa si avveri in tutta la sua pienezza; e mi affascina ancora di più vedere come di anno in anno questa fiducia e questo impegno non vengono meno, come se il farsi scopare “su una spiaggia con la sabbia nei capelli o in una camera d’albergo con la sola carezza dell’aria calda che entrava dalla finestra” [1] meritasse questo investimento lungo cinquanta settimane, estate dopo estate dopo estate.
Per quanto mi riguarda, invece, più passa il tempo e più faccio fatica a coltivare queste illusioni. Anzi, non le voglio coltivare proprio. Voglio piuttosto portarmi dietro tutto ciò che faccio e che sono nei rimanenti 350 giorni dell’anno, e – lo dico chiaro – ne voglio sentire la mancanza: proprio perché non ho una vita da buttare, come la grandissima parte di voi – anche quelli che lo pensano, e si intristiscono, e si macerano nel “dove ho sbagliato” o nel “la vita è uno schifo”. Passerò queste due o tre settimane provando a godermi ciò che avrò, come tento di fare nella cosiddetta vita di tutti i giorni; e le passerò anche aspettando di tornare a godere di ciò che – cose e soprattutto persone – fanno la mia “vita vera”. [2]
[1] E’ una citazione, ma potete sostituirla con qualsiasi altro luogo comune in tema vacanziero, il risultato non cambia.
[2] Che è anche quella che si fa grazie a un pc, o un BlackBerry: tanto per chiarire, eh
26/07/2008
Tra poco più di un mese dovrò fare un viaggio. La tizia che viene con me mi ha detto che ci sarete anche voi. Quindi preparate una borsa, ma sappiate che starete sul sedile posteriore. In silenzio, o quasi.
25/07/2008
A me pare che l’applicazione più utile dell’informatizzazione dei postini italiani sarà quella di registrare con certezza il ritardo con cui viene consegnata la corrispondenza (quando viene consegnata).
23/07/2008
Ditemi voi cos’è che mi sto perdendo, perchè a me questo piano di salvataggio di Alitalia non sembra molto migliore (eufemismo) di quello proposto illo tempore da Air France.
[Per inciso, Marco Tronchetti Provera riuscirà a mettere un piede e mezzo in Alitalia investendo meno di quello che l’Inter da lui compartecipata paga di ingaggio a Josè Mourinho – è o non è un genio, quest’uomo?]
22/07/2008
[Dalle stelle alle stalle, da Giacomo Leopardi a Alfonso Signorini, dalla Ricerca del tempo perduto a Playboy in una sola semplice mossa]
Ora, amici lettori, ammettiamolo: da tempo guardiamo il tennis femminile solo per titillarci con questi fisici da star del porno prestati allo sport (peraltro, sempre di attività di natura ginnica si tratta), con i loro gridolini, i gemiti, le gonnelline svolazzanti eccetera eccetera. Quindi è evidente che per noi voyeur di Sky Sport la numero 1 del mondo non è mica Ana Ivanovic, ma quel tesoruccio di Ashley Harkleroad, con le sue tette al vento (per non parlar del resto). Le altre, che si diano da fare per recuperare posizioni in classifica.
Ana Ivanovic, Repubblica.it
Ieri sera, sul tardi, rileggevo i commenti al post di domenica, e ripensavo a qualche messaggio ricevuto nel corso della giornata, e non potevo fare a meno di sorridere considerando quanto ogni giorno ci esercitiamo nelle arti del cinismo e del disincanto, e quanto poco basta per farci aprire le cataratte. Lo scrivo senza alcuna ironia, sia ben chiaro: basta raschiare un poco per trovare ciò di cui tutti siamo fatti – e siamo fatti delle stesse cose, affetti, famiglia, desideri di felicità, la mamma che ti stringe, quattro dita che ti passano tra i capelli. Poi uno diventa berlusconiano e l’altro rimpiange il compagno Stalin, ma in fondo ci assomigliamo tutti ben più di quanto la stupida retorica individualista che affligge i nostri grami tempi ci voglia far credere.
Detto questo, vorrei anche fare un esercizio di onestà. Investire mezz’ora nello scrivere una manciata di righe paracule costa molto meno che investire mezz’ora nel sedersi a fianco della persona corta per fare con lei i compiti delle vacanze. Quel che ho scritto gira tutto intorno all’esserci, e se è vero che ci sono molti modi per esserci, tra quelli che rimangono, tra quelli che lasciano il segno io non credo che “scrivere un bel post” occupi una posizione di rilievo nella lista. A quelli che mi dicono “che bravo papà” rispondo “ma magari”, sapendo che mia figlia può soprattutto contare su una mamma magnifica; e a quelli che mi dicono “vorrei avere un padre capace di dirmi le cose che dici tu a tua figlia” rispondo che io non dico nulla a mia figlia, queste sono cose che si pensano ma non si dicono perchè il ruolo del genitore espone fin troppo spesso al rischio di suonare patetici ed è meglio non aggiungerci il carico da undici.
E infine. Infine le cose stanno così, stanno che finchè le persone corte sono corte è tutto relativamente facile: ieri un amico carissimo mi ha scritto “… quanti errori. E (parlando dei piccoli) sa qual è la cosa che più duole? Che tutti questi errori ci vengono perdonati. Siamo imperfetti, e veniamo adorati”. Già. E’ quando abbiamo a che fare con gli adulti, che le cose diventano difficili; è quando dobbiamo fare i conti con la stanchezza, il dolore, la disillusione, la mancanza di prospettiva, la tristezza, il gusto perverso e masochista di crogiolarsi nei propri guai di un uomo o di una donna – è allora che tutto diventa duro, molto duro: e ancora, però, credo che alla fine ciò che conta sia esserci, in un modo o nell’altro, perchè siamo soli e sperduti solo se vogliamo esserlo.
[Conosco qualcuno che, un po’ per scherzo e un po’ per convinzione, sostiene che il blog sia “il male”; chissà, forse ha ragione. E forse l’inferno non è un posto così brutto, allora]
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