Dopo, non prima
Ogni tanto succede che questi giocattoli che abbiamo in mano – blog e Twitter e chat e tutte le altre pinzillacchere che quelli cool chiamano 2.0 – ci sfuggono di mano. Succede che non ci ricordiamo che si tratta di giocattoli, certo, e che in quanto tali possono far male, come una pallonata nello stomaco: sono pubblici, le parole che diciamo vengono lette non solo dalla persona alla quale sono indirizzate ma da dieci, cento o mille altre ancora; le battute che facciamo escono dal nostro microcosmo ed entrano in molti altri, con tutto quel che ne consegue. Avrete capito che l’infelice battutista è il titolare qui – uno non esattamente celebre per il suo humour, diciamo; e che il titolare qui si è reso conto, pochi attimi dopo aver schiacciato il famigerato tasto “Publish” (dopo: non prima; la differenza tra un deficiente e un saggio) di aver scritto – in buona fede, senza malizia: ma conta? – una scemenza che avrebbe ferito una persona. Il titolare qui ha chiesto scusa, per quel che vale, e qui le rinnova nel caso che quella persona passasse da queste parti; ma si ritrova a pensare se cinque anni e mezzo di blog et similia davvero gli hanno insegnato tanto poco da fargli dare uno schiaffo noncurante ad una persona (chiunque questa sia) pensando che quello sarebbe stato preso con il sorriso sulle labbra, alla stregua di un buffetto amichevole. Non si impara mai abbastanza, nemmeno dai propri errori: che soddisfazione, eh?