Qualche sera fa, con l’innocente perfidia delle donne, la Tengi prende distrattamente in mano un bicchiere di Marzemino, guarda me e il Dottor Brodo, e ci fa: “beh, che impatto avrebbe sulla vostra vita chiudere il blog?”.
Il mio socio romano, con la nettezza che lo contraddistingue, ha risposto “ben poco”, aggiungendo una serie di motivazioni che vanno dalla poca voglia di scrivere al poco tempo disponibile al degrado di quell’ambiente comunemente definito blogosfera.
Io, che sono sempre molto più sfumato, terzista, indeciso, relativista ho cercato di far capire che potrei vivere senza – e di cosa, in fondo, non si può davvero fare a meno: mangiare, bere e dormire; il resto non è indispensabile – ma che mi dispiacerebbe molto, e che quindi al momento non lo farei se non vi fossi davvero costretto.
E’ che per il titolare qui “blog” (fra le altre cose) corrisponde in misura molto larga a “Internet”; non perchè sia l’unico utilizzo che ne faccio, ma perchè, seppure nel modo imperfetto tipico degli umani, girando per blog vengo spesso sparato in giro per le cose del mondo attraverso Internet [1]: leggo la tragica e illuminante storia di Barbara e di suo figlio, leggo del magone che è venuto a tanti apprendendo la notizia della morte di David Foster Wallace (lo stesso che è venuto a me quando Zio Bonino me lo ha detto nella hall di un albergo di Riva), leggo analisi economico-finanziarie scritte in una lingua comprensibile anche al sottoscritto, e potrei andare avanti così per ore.
Scrive Massimo: “Io nemmeno me lo ricordo più come era il mondo prima di Internet”; io sì, un po’. E in questi giorni post “grande raduno” ci penso – per motivi eminentemente personali – piuttosto spesso. In alcuni momenti vengo preso da un rimpianto luddistico, dalla nostalgia dei tempi della carta e della penna. Ma so che le cose stanno diversamente, e che pur con tutti i problemi di adattamento di chi è nato con Carosello e arriva alla mezza età con Twitter o Facebook, non vorrei tornare indietro, non farei cambio con dieci o quindici anni fa. Le sciocchezze della “vita vera” sono e restano tali – questa alla tastiera di un portatile lo è tanto quanto quella che si vive in strada; e questa vita è molto più piena, stimolante, dolorosa di quella di un tempo. Ripenso alle persone che stavano intorno al tavolo sabato sera, e a un buon numero di altre incontrate-incrociate in poco più di trenta ore in riva ad un lago piovoso, e rifaccio mie le parole di Momo, che trovate nei commenti al post qui sotto: “Ho conosciuto più belle persone nella blogosfera che nel mio quartiere, che alla mia università, che nel posto in cui vado in vacanza che nei molti lavori che ho fatto, che nella mia squadra di calcio che in qualunque sottinsieme x di persone del mondo.”
[1] Infatti, di questi tempi che ho tempo e voglia di leggere solo quattro blog, sempre gli stessi, mi sento un po’ escluso da un po’ della vita che scorre là fuori. E la cosa mi dispiace.