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    31/10/2008

    Quando si dice che non è destino

    Filed under: — JE6 @ 10:04

    Nel 1968 avevo due anni, ed ero troppo piccolo per la politica e le manifestazioni e le barricate (peraltro, la famiglia era degnamente rappresentata dal mi’ babbo, carabiniere, che si passava le sue 14-16-18 ore al giorno su un camion a fare servizio di ordine pubblico).
    Nel 1977 avevo undici anni, ed ero ancora piccolo per la politica, le manifestazioni, le barricate e le P38. Avrei avuto i miei primi incontri con rossi e neri circa tre anni dopo, quando l’intero istituto omnicomprensivo nel quale studiavo si trovò ad assistere, ogni mattina da Dio mandata in terra, alle sprangate reciproche scambiate nel piazzale della fermata della metropolitana di Lampugnano.
    Oggi ho quarantadue anni e sarei abbastanza grande almeno per un corteo. Ma ho abbastanza beghe mie (il privato non è – non sempre – pubblico e politico) per non avere nè tempo nè voglia di seguire l’Onda. Fra cinque anni mi guarderò indietro e mi darò dell’idiota, o almeno lo spero.

    8 Responses to “Quando si dice che non è destino”

    1. mf Says:

      Ieri ho invidiato la nipote 18enne, che tornata dalla manifestazione romana esultava e gioiva e cantava “Bella ciao”! Io ho già iniziato a farlo, Squò (a darmi dell’idiota)

    2. Camillo Says:

      … e se provassimo a darci delle arie? Il ’77? No, mi spiace… avevo preso un anno sabbatico!

    3. laflauta Says:

      sul ponte della libertà gli studenti gridavano “marjuana libera!”
      ecco
      preferisco stare a casa (non vorrei confondermi troppo le idee)

    4. papi Says:

      Mia nonna diceva che ul destin bisogna fal destinà. Ma, nato nel 1944, nel 1968 stavo per diplomarmi in architettura a Zurigo. Avevo partecipato a una sola manifestazione nel 1967 dopo l’assasinio di Ernesto Guevara. Nel gennaio 1977 è nata mia figlia e avevo appena finito di ristrutturare il mio Roccolo. Mi dispiace. Sono un nessuno.
      Ma i giovani che manifestano oggi hanno ragione, cribbio. Tutti a discutere se erano duemilioni e mezzo o se erano duecentomila (questo intendo quando dico che i media depistano). Erano tanti, erano proprio tanti e potremmo parlare delle loro ragioni e non di numeri.
      Perché figli di ministri, di industriali di giornalisti vanno a studiare all’estero? Perché i giovani italiani non hanno diritto a una scuola decente? Se ne parla da anni? Ma è migliorata?

    5. Camillo Says:

      …apuunto! Se ne parla da anni… ed è migliorata? No.

    6. Temporalia Says:

      Io nel ’68 ero una ragazzina, ma vedevo mia sorella con il lenzuolone dell’Espresso, i capelli cotonati e i piedi nudi lungo la strada. Qualcosa, forse, mi si era appiccicata addosso. Il ’68 era passato ma motivi per contestare ce n’erano ancora e li feci miei. Poi, prima del ’77, scoppiarono le donne e i radicali.E ci furono nuovi motivi per arrabbiarsi e manifestare, anche discretamente.Poi, un lungo, faticoso e silenzioso apprendistato per l’adultità. Ma l’abitudine ad essere contro non si cancella facilmente e in Italia è facile, per chi vuole, trovare sempre nuove ragioni per alzare un cartello di protesta.

    7. john Says:

      A volte forse la cosa milgiore è stare a guardare, forse.

    8. Sir Squonk Says:

      Io non so cosa sia la cosa migliore. Volevo dire che in certe cose ci si trova dentro – o che da certe cose ci si trova fuori – per motivi del tutto indipendenti dal merito. Nel mio caso, si vede – appunto – che non è destino.

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