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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    21/01/2009

    Ditemelo voi

    Filed under: — JE6 @ 15:00

    E’ banale premettere che tutto (o quasi) è relativo, e che le vicende personali incidono parecchio sulla valutazione che ciascuno dà di ciò che personale non è – rendendolo di volta in volta più o meno importante; per dire, mie priorità personali, ieri, sono state alcune notizie lavorative, la morte del padre di una amica/conoscente, un amico in ospedale per polmonite, un biglietto della Persona Corta trovato nel piatto, una Miller Draft gelata, e solo dopo queste è arrivato l’insediamento obamico. Però, provando a fare mente locale, mi sto ancora chiedendo perchè non trovo alcun vero motivo di epocalità nell’inizio della nuova presidenza americana. Mi sono fatto l’idea che gran parte dell’entusiasmo per Obama sia figlio della stanchezza e della repulsione nei confronti di Giorgino Bush (sono arrivato a pensare che analoga accoglienza sarebbe stata riservata anche a – chessò – Jimmy Carter); ma non ho voglia di passare per inutilmente snob, e denigrare ciò che quasi chiunque celebra tanto per il gusto di farlo. E allora, cos’è che mi sfugge?

    20/01/2009

    Tirare la corda

    Filed under: — JE6 @ 08:03

    Tirare la corda sperando che non si spezzi, tirarla perchè oggi a te e domani a me, tirarla perché siamo tutti nella stessa barca, tirarla perché hai bevuto, tirarla perché non hai dormito, tirarla perché c’è la crisi, tirarla perché via sms non ci si capisce, tirarla per vedere l’effetto che fa, tirarla perché non riesci a fermarti, tirarla sapendo di dire una parola di troppo, tirarla per farsi rispondere e non restare nel silenzio. Tirare la corda, come se non fosse solo una metafora.

    18/01/2009

    Il direttore

    Filed under: — JE6 @ 18:27

    Il direttore non suda mai. Né d’inverno, quando il cappotto che lo protegge dal gelo umido di Milano diventa un sarcofago nero nell’aria appiccicosa del vagone della metropolitana, né d’estate quando le vecchie scatole di metallo sferragliano tra Rho e Sesto Marelli come carri bestiame nel Tennessee dell’Ottocento. Il direttore non si siede mai. Entra nel vagone, lo attraversa e trova il suo posto sul lato opposto a quello dell’entrata, dove resta in piedi, dritto come un fuso, fino al momento della discesa. Ogni volta lo guardo con un misto di stupore, ammirazione e invidia. E’ perfetto, ma non lo ostenta: le scarpe lucide ma non a specchio, le pieghe dritte della stiratura, gli abbinamenti opportuni dei colori, la rasatura quotidiana, i capelli della giusta lunghezza, le unghie ben curate. Alle nove del mattino il vagone scoppia di passeggeri, l’uno accatastato sull’altro, ma intorno a lui è come se ci fosse una sottilissima campana di vetro che lo separa dal resto degli umani, quasi che questi non gli si volessero avvicinare troppo per il timore di sporcarlo, di stropicciarlo. Ha sempre con sè un paio di quotidiani e altrettante riviste, ma ogni volta apre la ventiquattrore di cuoio nero con un gesto fluido e sicuro e ne estrae un libro – Roth, Borges, Calvino, Yourcenar. Quando il vagone si ferma per aprire le porte e far salire e scendere le migliaia di persone affannate che questa città vomita ogni due minuti lui alza la testa e si guarda intorno, e si capisce che lo fa con interesse, con partecipazione, come se fosse davvero uno di noi comuni mortali. Riesco a vederlo nel suo ufficio; non dev’essere uno che alza la voce, ma sono certo che lo ascoltano tutti, come si fa con coloro dei quali ci si fida, che hanno autorità perchè sono autorevoli. Chiede per favore, anche se non ne ha bisogno, discute ma non litiga, convince ma non ordina. Cerco di immaginare quale può essere la crepa nella sua vita, perché mi rifiuto di credere che non ne abbia una – la moglie che lo ha lasciato con un biglietto sul tavolo della cucina, la multinazionale dell’editoria per la quale lavora che chiude la filiale italiana, i sintomi precoci di una malattia incurabile, l’innamoramento impossibile per una segretaria di trent’anni, qualsiasi cosa. Ieri mattina, mentre il treno entrava nella stazione di Cordusio e lui si è avvicinato all’uscita chiedendo gentilmente ad una badante moldava “Scusi, scende?”, ho avuto la tentazione di alzarmi, accostarlo e dirgli “Andrà tutto bene”. Non so perché, ma sono certo che avrebbe capito, e che mi avrebbe detto di sì.

    Domenica mattina, poco prima dell’alba

    Filed under: — JE6 @ 09:24

    E’ la mattina di domenica, qualche minuto prima dell’alba. Ti svegli, guardi che ora è, e provi la sensazione dolce e calda che ancora per un po’ non avrai nulla da fare se non restare lì, sdraiato, sotto la coperta, con gli occhi chiusi ad ascoltare il rumore di qualche goccia di pioggia che batte sulle tapparelle abbassate. In quel momento non c’è niente e nessuno, non ci sei nemmeno tu, ed è la migliore sensazione che ti potresti augurare di provare. A quel punto ti riaddormenti, oppure l’accensione del motore di una macchina parcheggiata in strada ti risveglia definitivamente, perchè si sa che non si può aver tutto dalla vita.

    16/01/2009

    Missione compiuta

    Filed under: — JE6 @ 18:26

    Mi sbaglierò, ma sono convinto che quelli dell’Uaar non hanno mai pensato di farla davvero, la loro campagna sugli autobus genovesi. Sembra fatta per far abboccare i censori da quattro soldi, per far girare il nome e la campagna spendendone ancora meno. Hanno fatto tutto gli altri, involontariamente, ed è ciò su cui loro, secondo me, contavano. A questo punto, chissenefrega se quegli autobus andranno veramente in giro bardati a festa, non saranno due o trecentomila genovesi a fare la differenza.

    Significato prossimo venturo

    Filed under: — JE6 @ 12:36

    Se fra venti, cinquanta o cent’anni i blog saranno usati come uno strumento per la comprensione di questi tempi, gli unici che verranno considerati di qualche interesse saranno quelli scritti da gente che parla degli affari propri, quelli scritti con le k, quelli con le animazioni dei fiorellini che ballano la rumba, quelli che raccontano dei figli che vanno a scuola, della vita in ufficio, di tutto quello che oggi ci sembra banale e insignificante.

    14/01/2009

    Come a Ponte Milvio, ma senza i lucchetti

    Filed under: — JE6 @ 07:45

    Io non so bene come descrivere la faccia della ragazza che, uscendo dalla sua camera di albergo, ha fissato il sottoscritto e quell’altro bel tipo uscire dalla camera di fronte uno al fianco dell’altro, belli lustri in giacca, cravatta e cappottino. A dire il vero, non so nemmeno descrivere bene la faccia dei due quando, uscendo dal ristorante, sono stati approcciati dal solito venditore di fiori che offriva la sua mercanzia.

    12/01/2009

    Un onesto omaggio

    Filed under: — JE6 @ 17:13

    Non so quanti di voi hanno seguito la serata che RaiTre ha dedicato a Fabrizio De Andrè, ieri. Io mi sono messo sul divano animato dalle migliori intenzioni, ma mi è bastato poco per capire che c’era troppo miele, e che quasi tutti gli ospiti – anche loro beneintenzionati, suppongo – stavano dicendo “ascolta quanto sono bravo a cantare questa canzone, sono io a renderla così bella e profonda e indimenticabile”. Fosse stato per me, avrei evitato una trasmissione a tratti imbarazzante, e avrei trasmesso in diretta il concerto di tributo della PFM, che è una cosa intimamente onesta, fatta da gente che, a suo tempo, si mise davvero al servizio di De Andrè – e che ha continuato a farlo durante tutti gli ultimi trent’anni, e ancora oggi.

    11/01/2009

    Dove non può la natura

    Filed under: — JE6 @ 19:17

    E dimmi tu se non è vero.
    “La morte, di per sé, da sola, senza alcun aiuto esterno, ha sempre ammazzato molto meno dell’uomo”.
    [José Saramago, “Le intermittenze della morte”]

    Il non italiano

    Filed under: — JE6 @ 17:36

    Ieri sera ascoltavo Beppino Englaro a Che tempo che fa, e pensavo che la sua battaglia ostinata e dignitosa va avanti da così tanto tempo perché è tanto poco italiana, perché si basa sul diritto e sulla logica piuttosto che sui sentimenti. Englaro prova a discutere con i cervelli, mentre in questo paese si prova sempre a strizzare le budella: non piange, non si strappa le vesti, non gioca con l’emotività. Se anche avesse torto nel merito (e no, non credo che abbia torto), gli darei ragione solo per questo.