Dicono che le donne hanno un olfatto molto più sviluppato rispetto a noi uomini. Sarà. Di certo ieri sera, tornando a casa, ho avvertito benissimo – a sei piani di distanza – il profumo del mezzo toscano che il signore che abita sotto di me è uso fumare. E per pochi secondi sono ritornato a quando avevo otto anni, e passavo le mie estati in Sardegna, nella casa dei miei nonni materni, e con loro parlavo quella lingua splendida che oggi sono solo in grado di capire. La prima azione di mio nonno, subito dopo il risveglio, era accendere il suo mezzo toscano. Lo prendeva in mano, sfregava il cerino, tirava le quattro-cinque boccate di ordinanza; poi faceva una cosa che mi ha affascinato per tutti gli anni che ho avuto la fortuna (della quale mi sono reso conto solo troppo tempo dopo) di stargli vicino: riprendeva il sigaro in mano, e si infilava la parte accesa in bocca, e lo fumava così, al contrario. Aveva una specie di callo sulla lingua, mio nonno, frutto di decenni di esercizio di una pratica appresa – così raccontava – in tempo di guerra, quando volevi fumare di notte ma dovevi evitare che nel buio si potesse vedere il rossore della brace. Mio nonno era di poche parole, e ancor meno ne diceva perchè dal suo mezzo toscano si staccava solo per mangiare. Ieri sera quel profumo mi ha ricordato che nonno Antonio – e con lui nonna Marianna, e nonno Salvatore, e nonna Enrichetta – mi manca, e che sono diciassette anni che non metto piede in Sardegna, anche solo per andare nel microscopico cimitero di collina dal quale si vede il castello di Burgos, e che mi dovrei decidere a far conoscere a mia figlia un pezzetto di quel mondo antico, misterioso e magnifico dal quale, in qualche modo, anche lei viene.