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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    30/06/2009

    A furor di popolo (che non è il mio)

    Filed under: — JE6 @ 09:02

    Se mai avessi desiderato scorarmi ancora un po’ seguendo le vicende del PD, il lungo post di ieri scritto da Luca avrebbe contribuito notevolmente al raggiungimento dell’obiettivo. Perché, al di là di tutte le differenze di visione sulle quali non vale la pena di tornare (quanto meno per evitarmi l’ennesimo “parli parli ma non ti informi e non fai un cazzo”, che alla fine uno si stanca anche di ripetere l’ovvio), mi sento di sottoscrivere questa frase del suo dodicesimo e ultimo paragrafo: “Vorrei una scelta che mi convinca, e non la vedo“. Ecco, siamo in due (duemila, due milioni). Luca da parte sua dice di fidarsi “di quello che decideranno le persone che hanno lavorato a tutto questo” (la creazione del piombinismo, ndr); io, nemmeno quello. Spero che abbia ragione lui.
    Wittgenstein

    28/06/2009

    “Io vorrei che da queste riunioni qui venissero fuori anche le proposte”

    Filed under: — JE6 @ 09:19

    Non ero al Lingotto per seguire l’assemblea dei Piombini Democratici (ndr: il nome non gliel’ho dato io, han fatto tutto da soli; il fatto è che, a forza di ripeterle, ci si abitua anche alle cose più brutte, come questo nome disgraziato). Non giudicherò quindi l’evento, non potendone avere un’opinione. Ma ho visto e ascoltato gli interventi di Ignazio Marino e di Debora Serracchiani, due persone del PD che mi interessano, delle quali ho una buona opinione, delle quali in tanti dicono un gran bene e per le quali si disegnano magnifiche sorti e progressive. E insomma, non saprei come metterla diversamente: che delusione. Perché qui, noi semplici elettori ci saremmo anche un po’ stancati delle belle enunciazioni di metodo fini a se stesse. Perché è intristente e umiliante ascoltare nove minuti e quaranta secondi di dissertazione il cui punto più alto viene toccato pronunciando l’immortale massima “”Io vorrei che da queste riunioni qui venissero fuori anche le proposte”. Non so, forse l’evento di ieri non aveva questo come obiettivo – quello di fare proposte, dico – o forse le proposte le hanno fatte altri e non i due che ho seguito con attenzione. So solo che se io non avessi saputo chi fosse Debora Serracchiani, al termine del suo intervento non lo avrei saputo comunque. E so anche che invece pensavo di sapere chi fosse Debora Serracchiani, e adesso non lo so più.

    25/06/2009

    Gruesse aus Nuernberg ’09 – Arlecchino

    Filed under: — JE6 @ 15:39

    Epperò, anche durante le sere più svogliate, capita sempre di cogliere un’immagine da portarsi a casa. Che oggi arriva dalle parti di Hallplatz, in una piazzetta dove – di fronte alle vetrine di Beate Uhse – un uomo vestito con il costume e la maschera di Arlecchino suona la fisarmonica. Lo fa stando quasi completamente al buio, la gente cammina e gli passa davanti senza quasi accorgersi della sua presenza, guardandosi in giro per capire da dove arriva il suono. Frugo nella memoria per ricordare dove ho letto che Arlecchino è un personaggio tragico: probabilmente la memoria mi inganna, sicuramente l’autore si riferiva a qualche altro personaggio, eppure in questo momento gli darei ragione, perché Carnevale viene una sola volta all’anno e oggi siamo fuori stagione.

    Gruesse aus Nuernberg ’09 – Tutti i toni del grigio

    Filed under: — JE6 @ 15:38

    C’è qualcosa di strano in questa sera di Norimberga. Dev’essere il grigio di una sera nuvolosa, qualche goccia di pioggia che cade e si perde il rosso dei muri del centro storico. O forse, boh, è solo un po’ di stanchezza, quella di tredici giorni passati in giro, con due voli e mille chilometri di autostrada che aspettano ancora. Potrei prendere la metropolitana e andare a Fuerth, la sister town di Norimberga, ma alla fine mi siedo al banco di una vecchia birreria sulla strada per il castello imperiale, e poi mi unisco per un po’ allo struscio di una sera d’estate, a guardare la gente e a tirare l’ora del sonno. Andrà meglio la prossima volta.

    23/06/2009

    Tappe forzate

    Filed under: — JE6 @ 18:09

    Sono in aeroporto, controllo la posta, mi cade l’occhio sui referer del blog. Leggo “http://www.pezzidufficio.it/tappe-forzate”, e realizzo che poi è un po’ quello che sto facendo in queste due settimane di viaggi continui (ieri sera un amico mi fa: fai più date di Tiziano Ferro. Ecco). L’aereo è in ritardo.

    21/06/2009

    Mandi

    Filed under: — JE6 @ 19:11

    Attraverso la bassa friulana – Latisana, Palazzolo, Gonars, Castions, Mortegliano, Lavariano, Chiasiellis – passando tra vigneti, ricordi di campioni del calcio, distese di mais, spacci di carne suina e i resti di un tempo in cui il fumo non era peccato, la ciminiera della manifattura e gli ultimi appezzamenti di coltivazione del tabacco. Alle due del pomeriggio, la cosa che si sente per davvero è il silenzio; probabilmente lo noto perché ho ancora nelle orecchi il rumore costante e inevitabile di Manhattan, e forse ci sono luoghi che si distinguono per il numero di decibel. Entriamo nel piccolo cimitero, fatto di pochi cognomi ripetuti decine di volte, fatto di nomi dimenticati da noi che a volte dobbiamo ricorrere all’inglese perché abbiamo perso memoria e uso della nostra lingua. Mi viene in mente il cimitero che sta all’inizio di Broadway, a due passi da Wall Street e a due passi da Ground zero, mi vergogno un po’ al pensiero che, per alcuni casi della vita uniti alla pigrizia e ad altri motivi meno nobili, sono quasi vent’anni che non metto piede in Sardegna e non ho mai visto le tombe di tre dei miei quattro nonni (rendendomi conto che questo, oggi, sarebbe il motivo più importante e lo stimolo più forte per farmi tornare laggiù). Ascolto il “cje bjel” che accoglie mia figlia, mi godo questa lingua antica stupendomi del fatto che riesco a capirne più di quanto mi ricordavo che fossi capace di fare, realizzo che non potrò mai lasciare alla bambina un’eredità paragonabile a questa che sta conoscendo ora, una qualche forma di radice tangibile, una lingua, un vecchio trattore, qualcosa di remoto eppure vivo.
    E’ l’ora di tornare.

    18/06/2009

    Greetings from New York ’09 – Normale

    Filed under: — JE6 @ 05:04

    Alle sei di sera, dal palazzo dell’ONU escono centinaia di persone. Camminano lungo una specie di viottolo che porta al cancello sulla First Avenue, e sono in tutto e per tutto uguali agli impiegati di una qualsiasi azienda – giusto un filo meno grotteschi di Fantozzi e dei suoi colleghi. Al portone vedo due ragazze, una nera e l’altra bianca, una più bella dell’altra, che aspettano qualcuno – immagino i rispettivi fidanzati, o mariti. Per l’ennesima volta, in questi tre giorni, noto la normalità di New York, contrapposta a quella particolarità che gli ho cucito addosso per tanti anni. Nel playground tra la First e l’East River, due ragazzini giocano a basket.

    17/06/2009

    Greetings from New York ’09 – La stalla

    Filed under: — JE6 @ 22:30

    Sulla 38th Street West, quasi all’angolo con la 11th Avenue, c’è una stalla. Stretta tra un albergo e un’officina, con i cavalli, e le persone che li accudiscono. Sono i cavalli che trainano le carrozze dei turisti, quelli che si trovano all’angolo della Fifth Avenue con Central Park. E stanno lì, vivono lì, passi sul marciapiede per andare in fiera al Javits Center e li stanno strigliando, ritorni e ad uno stanno mettendo a posto uno zoccolo mentre gli altri mangiano, ciascuno dal proprio secchio azzurro. Mi viene in mente l’MGM di Las Vegas, che ha l’habitat per i leoni, ma i leoni fanno orario di ufficio – o da turista – a fine turno li caricano su un camion e li portano nella loro riserva, da qualche parte nel deserto del Nevada; qui i cavalli non sono degli impiegati, i ragazzi che lavorano in zona li conoscono e non ci fanno nemmeno più caso. A tre isolati di distanza – Half a mile away, cantava Billy Joel – si è dentro il Garment District, in un quarto d’ora si arriva a Times Square. I cavalli riposano nella loro stalla.

    Greetings from New York ’09 – Pane

    Filed under: — JE6 @ 19:42

    Incontro due persone, presentazione, progetti, saluti. Guardo le ore, mi metto in strada, mi faccio tutta la 11th Avenue fino alla 52nd Street – quella di Billy Joel, “my other world is just half a mile away”. Sono l’unico, lungo tutti i 14 isolati che percorro, tra parcheggi di bus, carrozzieri, fioristi e deli, ad essere in giacca e cravatta. Mentre sto scrivendo una mail, all’altezza della 48th Street, vengo trafitto da un profumo di pane che io non mi aspetto di sentire a Manhattan – il che è stupido, perché anche qui mangiano, e non si vede perché non si dovrebbero trovare fruttivendoli e panettieri – e mi guardo intorno per capire da dove arriva e non trovo nulla, e mentre rileggo per la seconda volta la mail perché voglio dire le cose con le parole giuste fantastico su qualcuno che si sta preparando il pane in casa, su New York che non è solo grattacieli e taxi in movimento perenne ma è anche orti e periferia e gente che alle undici del mattino di un qualsiasi giorno di giugno sforna pane fresco e fumante.

    Greetings from New York ’09 – Il tempo passa

    Filed under: — JE6 @ 13:54

    Ero stato a Ground Zero nel 2003, e di quel pomeriggio ricordo che provai la sensazione che la città abbassasse la voce e rallentasse il passo in prossimità del grande buco, come per una forma di rispetto, e ricordo le decine di pannelli neri che riportavano i nomi delle vittime. Ieri sera ho camminato per qualche ora, dal Meatpacking District a Greenwich Village a Washington Square e giù per la Sesta, a Town Hall ho resistito alla tentazione di andare al Ponte di Brooklyn per vedere se e come Ground Zero era cambiato. E sì, è cambiato. Ci sono le gru, i pannelli con i nomi di chi morì l’11 settembre sono stati sostituiti da pannelli che definiscono il luogo “The National September 11 Memorial and Museum”, e soprattutto c’è una sensazione di normalità. Non mi spingo a dire che è ciò che provano i newyorchesi, dico che è ciò che ho sentito io, come se il dramma avesse fatto posto all’abitudine al movimento che è tipica di questa città e di questo paese. Alla fine, oggi Ground Zero è un semplice, enorme cantiere. Forse è bene che sia così.