Greetings from San Diego – Balboa Park
Tra le molte cose che mi piacciono degli Stati Uniti ce n’è una che non saprei definire se non come la sensazione di enorme, tranquilla rilassatezza che avverti nei loro parchi, soprattutto durante i weekend. Arrivo a Balboa Park verso le nove, con la rugiada ancora sull’erba e la nebbia che questa mattina avvolgeva la baia che si sposta su Coronado e La Jolla e mi incammino attraversando la rotta di atterraggio che porta al Lindbergh International. Mi fermo a guardare lo spettacoloso gruppo vittoriano dei giocatori di bocce su erba – il San Diego Lawn Bowling Club – tutti vestiti di bianco come i tennisti a Wimbledon, il parco degli esercizi canini, il campanile del Museo dell’Uomo. Mi appoggio al parapetto del ponte del giardino botanico, pesci da una parte e ninfee dall’altra, mentre una bambina di forse tre anni indica al padre un paio di occhiali da sole che qualcuno ha perso nell’acqua vischiosa di alghe. Passo in mezzo al mercato delle piante native californiane, mi fermo a guardare il mercato dei costumi di scena del teatro giovanile di San Diego – un costume da principessa otto dollari, un abito da sposa venti, un cappello da poliziotto cinquanta centesimi. Mi metto il sole alle spalle per osservare la zona dei musei, tutti ospitati da queste magnifiche architetture messicane, mi faccio da parte per guardare la lunga colonna di migliaia di persone che festeggiano la riunione delle associazioni per la difesa dei diritti delle persona down, costeggio il canyon delle palme, scuoto la testa davanti a una Cinquecento gialla del 1969 messa a guardia dell’entrata del Museo dell’Automobile, attraverso la zona delle Nazioni Unite dove ogni cottage è la casa di un paese e Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca sono coinquiline in apparente pace, mi faccio passare tra i piedi un paio di scoiattoli – tutto in un’atmosfera da film degli anni Cinquanta. Penso che a volte si dice che la bellezza sta negli occhi di chi guarda, mi dico che forse è vero.