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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    18/10/2009

    Greetings from San Diego – Balboa Park

    Filed under: — JE6 @ 05:15

    Tra le molte cose che mi piacciono degli Stati Uniti ce n’è una che non saprei definire se non come la sensazione di enorme, tranquilla rilassatezza che avverti nei loro parchi, soprattutto durante i weekend. Arrivo a Balboa Park verso le nove, con la rugiada ancora sull’erba e la nebbia che questa mattina avvolgeva la baia che si sposta su Coronado e La Jolla e mi incammino attraversando la rotta di atterraggio che porta al Lindbergh International. Mi fermo a guardare lo spettacoloso gruppo vittoriano dei giocatori di bocce su erba – il San Diego Lawn Bowling Club – tutti vestiti di bianco come i tennisti a Wimbledon, il parco degli esercizi canini, il campanile del Museo dell’Uomo. Mi appoggio al parapetto del ponte del giardino botanico, pesci da una parte e ninfee dall’altra, mentre una bambina di forse tre anni indica al padre un paio di occhiali da sole che qualcuno ha perso nell’acqua vischiosa di alghe. Passo in mezzo al mercato delle piante native californiane, mi fermo a guardare il mercato dei costumi di scena del teatro giovanile di San Diego – un costume da principessa otto dollari, un abito da sposa venti, un cappello da poliziotto cinquanta centesimi. Mi metto il sole alle spalle per osservare la zona dei musei, tutti ospitati da queste magnifiche architetture messicane, mi faccio da parte per guardare la lunga colonna di migliaia di persone che festeggiano la riunione delle associazioni per la difesa dei diritti delle persona down, costeggio il canyon delle palme, scuoto la testa davanti a una Cinquecento gialla del 1969 messa a guardia dell’entrata del Museo dell’Automobile, attraverso la zona delle Nazioni Unite dove ogni cottage è la casa di un paese e Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca sono coinquiline in apparente pace, mi faccio passare tra i piedi un paio di scoiattoli – tutto in un’atmosfera da film degli anni Cinquanta. Penso che a volte si dice che la bellezza sta negli occhi di chi guarda, mi dico che forse è vero.

    Greetings from San Diego – Odori

    Filed under: — JE6 @ 04:50

    E’ da un po’ che quando arrivo in una città provo questa strana sensazione, come di un deja vu impreciso, come se quasi ogni strada e ogni palazzo e ogni panorama ne richiamasse altri due o tre a costruire una specie di Frankenstein dei ricordi. Questa mattina però il ricordo è stato netto e immediato: camminavo sulla Fifth Avenue, uscendo da downtown e andando verso nord, verso Balboa Park, e l’odore di piscio che sentivo – forte, persistente, lungo i muri e in mezzo alle siepi – era lo stesso di San Francisco. Perché i dropouts a San Diego non mancano come non mancano a Frisco, il clima mite li aiuta, li vedi in Gaslamp seduti dietro i loro cartelli “I’m hungry” mentre tutt’intorno sciamano i ragazzi nei loro vestiti migliori, quelli del fine settimana, li vedi piegati sui cartoni stesi negli androni dei palazzi di uffici, li vedi gonfiare i materassi per passare un’altra giornata identica a quella di ieri. E’ lo stesso odore di Market and Seventh, lo stesso odore che non ti lascia finchè non scappi, finché non vai al parco o ritorni ai negozi e ai ristoranti delle persone “normali”, finché non ti riempi gli occhi di altro.

    Greetings from San Diego – Overnight

    Filed under: — JE6 @ 04:36

    Il Gaslamp Quarter mi fa lo stesso effetto del French Quarter di New Orleans: la musica live che esce dai locali, i marciapiedi affollati, il caldo del sud in una sera di ottobre, le ragazze con i vestiti più corti e scollati che hanno in casa, e una specie di allegria da contratto che però riesci ad apprezzare lo stesso dopo un viaggio lungo un giorno – e anzi, forse la apprezzi proprio per quello. Come a New Orleans, passano pochissime ore da quando rientro in albergo a quando rimetto piede sulla Fifth Avenue, e come a New Orleans sembra di essere in un altro mondo. La luce del sole, il silenzio, quella sensazione che provi quando a casa ti svegli prima di tutti gli altri e ti muovi piano per non disturbarli: le serrande sono chiuse, giusto un paio di macchine passano girando in C Street, i grattacieli si riflettono l’uno nelle vetrate dell’altro. Una signora vecchia e malandata attraversa la strada spingendo un carrello vuoto; la fotografo, facendo finta di inquadrare un palazzo qualsiasi alle sue spalle: lei, inconsapevole, mi guarda, sorride, mi dice “Thank you”.