L’uomo del fare
Facciamo un passo indietro, a un giorno, un minuto prima degli avvisi di garanzia e degli arresti. Guido Bertolaso è uno degli uomini più famosi d’Italia, ubiquo nella gestione di problemi che devono essere catalogati come emergenze per giustificarne in qualche modo l’impiego: la spazzatura campana, il terremoto abruzzese, il G8 sardo, le manifestazioni per l’unificazione italiana, gli aiuti umanitari ad Haiti. E’ raro vederlo in giacca e cravatta, con il suo maglione blu della Protezione Civile sembra il gemello operativo di Mario Tozzi – questo passa il tempo in televisione armato di una piccozza da geologo e l’altro spazia da una tracimazione a una discarica, dall’organizzazione di una dozzina di parate a un hangar di Ciampino. E’ uno di quegli uomini del fare ai quali negli ultimi anni ci siamo sempre più frequentemente messi in mano, disperati per l’immobilità diventata tratto distintivo della vita sociale, ormai convinti che le regole non servono a far funzionare le cose, bensì a renderle difficili, sgradevoli e impossibili. Bertolaso ispira fiducia, gli affideremmo tutto: non si riesce a costruire la quinta linea della metropolitana di Milano? Chiama Bertolaso. Il Po deve diventare navigabile? Telefona a Guido. Lui ci sarà, con il suo maglione, la sua conferenza stampa in una sala diroccata di una caserma di provincia – averne come lui che “ho un lavoro da fare, e lo faccio”. Get the job done, e noi che tiriamo un sospiro di sollievo: ci pensa Bertolaso, finalmente uno che si dà da fare, non il solito politico in cerca di photo opportunities, non il solito consiglio dei ministri che stanzia fondi che non arriveranno mai. Bertolaso è colui che ci salva dal nostro fallimento, quello di un paese che crede che i problemi si risolvono con una nuova legge quale che sia, poco importa se questa non verrà applicata mai. Nel regno dell’effetto-annuncio, l’homo faber Bertolaso incarna ciò che vorremmo essere ma non siamo capaci di diventare: mi sbaglierò, ma Guido ce lo troveremo in giro ancora a lungo perché abbiamo bisogno di lui: non per quel che fa, ma per quel che ci fa pensare che potremmo fare noi.