La nicchia della nicchia della nicchia
Non so quanti fossimo ieri sera a guardare Michele Santoro. La nicchia della nicchia della nicchia, probabilmente – pochi. Pochi anche mettendo insieme i molti che erano nelle piazze, e quelli collegati via web. Ho letto poco fa: “Avete presente quella sensazione che uno ha una volta ogni 5 anni, di stare assistendo a un evento storico?” e ho cercato di capire cosa mi ero perso di così storico, di tanto rivoluzionario: la rivolta di ben pagati dipendenti Rai – che dalla prossima settimana torneranno a condurre i loro programmi – contro la loro dirigenza? Un evento del web creato in e dalla televisione? Il risveglio delle coscienze dal torpore e dall’indifferenza? Non voglio fare quello che sputa sempre e comunque su tutto e tutti (“il bambino che ha deciso di dire cacca”), ma c’è davvero qualcosa che mi sfugge: guardando la teoria di graditi ospiti, chansonnier stonati, comici di riciclo, tribuni imbolsiti, fili spinati mi è tornata in mente la manifestazione della CGIL di Cofferati al Circo Massimo, i mille milioni di persone, la rivoluzione tranquilla e ferma che da lì doveva partire; so benissimo che il non aver prodotto risultati di per sé non toglie valore alla manifestazione, ma guardo con perplessità al considerare eventi intrinsecamente vecchi (a meno di non voler definire “nuovo” il trasmettere in streaming, il che dovrebbe farci considerare Justin.tv come il laboratorio dell’umanità prossima ventura) come catartici e rivoluzionari: è tutto molto coerente con le eccitazioni del nostro microcosmo internettaro e socialcosistico, quello nel quale ogni volta il PD dovrebbe avere una tale maggioranza elettorale da impietosirsi e regalare una manciata di parlamentari a Berlusconi tanto per dare senso al termine “opposizione”; ma qui si è smesso di ridere ai monologhi di Luttazzi tanto tempo fa.