Greetings from Milano – Le panchine e la fontana
Alle sette di sera rimango solo, il Duomo alle spalle e il Castello Sforzesco di fronte. Un po’ mi dispiace, le belle compagnie sono merce tanto rara e preziosa; ma ci sono una manciata di ore da riempire e la serena allegria che quella compagnia è stata capace di dare, e una città che aspetta – da quarant’anni circa.
Così inizio a camminare, Foro Buonaparte fino all’ago-e-filo, e via Carducci fino al Bar Magenta dove mi fermo a bere qualcosa. Che non importa se la birra non è poi tanto speciale, quando quello è uno dei tuoi bar da tanto tempo, e in fondo non cambia mai anche se le facce sono sempre diverse. Prendo la metropolitana, un paio di fermate e inizio a camminare in Corso Garibaldi. Ecco, Corso Garibaldi ha questa cosa, che è pieno di locali e di gente e di negozi, ma ha una panetteria, e ha un paio di slarghi dove trovi le panchine dove sederti e mangiarti il tuo pane con le olive, e in uno di questi slarghi c’è una vedovella, una delle fontane che danno acqua pubblica, e lì ci puoi bere e asciugarti la bocca con il dorso della mano. In Corso Garibaldi puoi fermarti davanti alle vetrine di Rossignoli e guardare le bici d’epoca, e puoi andare avanti e passare l’incrocio senza vedere la grande insegna di un Hotel Napoli che chissà se esiste ancora ed entrare in Brera, camminando sull’acciottolato e guardando i cartomanti che dicono che “lui ha avuto un momento difficile ma tu stagli vicina” e arrivando a fermarsi davanti alla chiesa in mattoni rossi di via Formentini per guardarla come se fosse la prima volta – e magari è davvero la prima volta che ti fermi a fissarla con questa luce bassa.
C’è un’aria strana in questa sera di aprile, c’è quell’aria che a volte si ha quando si sta con i colleghi dopo una giornata pesante ma fruttuosa, una specie di stanchezza rilassata e onesta, ancora per qualche minuto, forse un’ora si può camminare senza avvertire l’eccitazione malata del dover per forza fare qualche cosa per dare un senso alla chiusura della settimana. Mentre attraverso l’altro mondo, quello di Corso Como e dei suoi buttadentro, mi rendo conto che per la prima volta sto girando la mia città guardandola con gli occhi che uso quando sono all’estero, o in un posto nuovo – e mi chiedo perché, e il perché lo so, è che viaggiare (e anche due ore di camminata indolente possono esserlo per davvero) è una questione di testa e di stato d’animo, tutto è sotto i tuoi occhi e vederlo dipende solo da te.
April 18th, 2010 at 00:19
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