Greetings from London ’10 – A shared plate
E’ tutto come dovrebbe essere, come ti aspetti che sia: la London Pride e la Old Peculiar e i menù scritti a mano, col gesso sulla lavagna, con quella calligrafia che hanno solo qui e in nessun altro luogo, e i divani in pelle rossa consunta e il legno e “Ladies” e “Gentlemen” e le due amiche e i quattro colleghi – e uno è enorme e i jeans gli scendono scoprendo un paio di mutande a disegni gialli e azzurri – e il barman che sembra George Harrison ma con i capelli rossi da irlandese da film e ognuno che racconta qualcosa e ognuno che ascolta qualcosa, come se l’universo mondo non fosse là fuori ma qui dentro, anche il bastardo senza cuore e l’amica-con-la-a-maiuscola che sa ogni segreto, come se questa non fosse una parentesi ma il racconto vero, quello principale, come se tutti fossero qui, in uno qualsiasi dei pub di Earl’s Court Road – anche se tu non vorresti, anche se tu stai cercando la solitudine perfetta, quella che sta unicamente dentro di te, ed è per quello che non la trovi, che non puoi trovarla più.