Cicale
La Grecia è un lungo frinire di cicale. Incessante, continuo, infinito, al punto che dopo un paio d’ore non lo senti più. E’ lo stesso silenzio implacabile e vivo della Sardegna che mi ricordo, ne ha la profondità e una specie di aggancio preistorico a qualcosa che siamo stati. Guardo la cinquantina di persone che affollano questo chilometro di spiaggia dell’Epiro e mi chiedo se anche loro sono come noi, se anche loro sono qui tra parentesi, se anche loro hanno il cervello e il cuore stanchi da trecentocinquanta giorni di sovraccarichi e montagne russe – giusto per essere stanchi di tanto vuoto e riposo tra due settimane -, se anche loro sono inebetiti a guardare la risacca ipnotica e l’impercettibile spostamento dei riflessi sull’acqua, se anche loro passano lunghi minuti a chiedersi delle proprie vite, fantasticando cambiamenti e piroette e catarsi per poi concludere che il problema non è la vita che fai ma come la vivi e quindi insomma che persona sei e a quali persone ti accompagni, mi chiedo cosa pensano, cos’hanno dentro. Poi chiudo gli occhi, e ascolto le cicale.