Scrivi quando arrivi
Il gruppo esce dal ristorante e si avvia verso il parcheggio. Piove, e si inizia a sentire il freddo umido della pianura padana che entra nell’inverno. Dopo qualche minuto, come sempre succede, si formano dei gruppi più piccoli, tre o quattro persone, quelle che hanno passato la cena insieme perché sedevano vicine, quelle che approfittano degli ultimi scampoli della sera per scambiare le quattro parole che non sono riuscite a dirsi prima. Là, all’inizio della colonna che apre gli ombrelli o che cerca un po’ di riparo sotto i cornicioni del centro storico, restano in due. Camminano un po’ più veloci degli altri, chissà se per abitudine o cos’altro. La donna prende sotto braccio il ragazzo, e questo inizia a parlare con frasi interrotte, come intimidito, o confuso, o rassegnato. Lei lo ascolta, e quando lui fa una pausa un po’ più lunga lei entra nella breccia, inizia a parlare e va avanti a lungo, accompagnandosi con gesti lenti di una mano che sembrano voler dire purtroppo ne so più di te. Lui fa un cenno con la testa, forse dice sì hai ragione, forse dice va bene ci penso. Il gruppo si riunisce al parcheggio, piove un po’ meno, molti chiudono gli ombrelli per potersi salutare più comodamente, allora ci vediamo la prossima settimana, va bene, proviamo a cambiare ristorante, d’accordo, la donna stacca la mano dal braccio del ragazzo, il mio numero ce l’hai se hai bisogno, sì grazie, mi ha fatto piacere, grazie di tutto, ma di cosa, mandami un messaggio quando arrivi a casa.