Fontane
L’uomo risale lentamente la via delle fontane, stremato dalla pendenza e dal caldo torrido di un anomalo giorno della fine di marzo. Socchiude gli occhi e fissa l’incrocio che si avvicina, quello col semaforo sospeso, quello con i rivoli d’acqua che scendono lungo il marciapiede. Una maestra e venti bambini messi in fila per due lo raggiungono e lo superano, vocianti e accaldati. Arrivato in cima si guarda intorno, una goccia di sudore gli si ferma sulle ciglia e gli annebbia per un momento la vista. La coppia sta al sicuro, coperta dall’ombra dell’angolo opposto dell’incrocio, lui inappuntabile e fresco nel gessato blu da consiglio di amministrazione, lei liscia e seducente con i capelli sciolti sulle spalle e la gonna a piccole pieghe che si ferma poco sopra il ginocchio. Gli fanno un cenno di saluto, lui risponde, guarda la macchia scura di sudore che si allarga sulla camicia bianca e attraversa la strada. I bambini e la maestra sono ormai lontani, camminano verso il palazzo del presidente e quando il marciapiede si restringe si mettono in fila indiana. Ti aspettavamo, dice l’uomo elegante, lo so, risponde l’uomo sudato, ma è stata una giornata complicata. La donna sorride appena, senza dire una parola. L’uomo sudato mette una mano nella tasca posteriore dei jeans, tira fuori il telefono, guarda le ore, quanto ci vorrà per arrivare alla stazione, chiede, ma riparti già, dice l’uomo elegante, ce la faccio in mezz’ora, chiede l’uomo sudato, sì ce la fai, allora vado, scusate se vi ho fatto aspettare. La donna si avvicina all’uomo sudato, sono sudato, le dice lui, stai bene, mormora lei. L’uomo sudato dice ciao allora, a presto, e si incammina, lasciando sull’asfalto un paio di impronte umide dell’acqua che gocciola da una delle fontane. I bambini e la maestra sono scomparsi alla vista.