Sono seduto sul tram. Accendo il Kindle, leggo un pezzo che DeLillo ha scritto in memoria di David Foster Wallace. Quando usciamo da via Giardino per entrare in via Mazzini con la coda dell’occhio vedo la donna che mi siede a fianco fare un velocissimo gesto toccandosi prima la fronte, poi il petto. Alzo la testa, vedo là, sulla destra, la chiesa di San Satiro, capisco che la donna – una sudamericana, credo, i lineamenti sembrano quelli – ha fatto il segno della croce. Mi viene in mente mio padre, che ogni volta che si mette al volante per un viaggio di qualche lunghezza, fa lo stesso gesto, in silenzio. Conosco molte persone che si metterebbero a ridere, guardandolo e guardando la donna che mi siede a fianco; io lei non la conosco, ma conosco mio padre, so che il suo è un gesto antichissimo, ci sta dentro il bambino che è stato, che quando usciva dal paese per andare a fare il pastore all’età di dieci anni affrontava un mondo immenso e sconosciuto e spesso pauroso, e raccomandarsi a qualcosa o qualcuno, magari al Dio della Messa grande della domenica era naturale e sensato. So che non crede che Gesù Cristo lo stia veramente guardando mentre affronta la rotonda che dallo svincolo di Piacenza Nord porta verso il Po per evitare che un furgone guidato da un ubriaco possa ammazzarlo sventrandogli la macchina, so che il suo è un gesto piccolo che vuol semplicemente dire “so di essere piccolo”, so che molti di quelli che lo prenderebbero per un vecchio credulone e bigotto poi non fanno una piega guardando i campioni del calcio che escono dagli spogliatoi, toccano con un dito l’erba e con quel dito fanno lo stesso gesto che fa questa donna passando davanti a una chiesa medievale, che fa mio padre quando parte per un viaggio, lo so, ma a che serve.