Davanti al grattacielo bianco ci sono due alberi sottili. Oggi c’è un telo bianco steso, attaccato ai due tronchi stretti, come un quadro appeso a un muro. Sembra un lenzuolo. Qualcuno ci ha scritto sopra, usando una bomboletta spray, una di quelle da graffiti sui muri. “Ho solo tre parole da dirti, senza te muoio”. In mezzo ci sono dei puntini di sospensione, e in fondo un punto esclamativo. E’ facile vedere un ragazzo, un sedicenne accompagnato dagli amici che lo aiutano prima a tenere il lenzuolo ben tirato mentre lui ci scrive sopra e poi ad agganciarlo come un’amaca, ma lei dove abita, lì al sesto, ma sei sicuro che questo è il lato giusto, sì sono sicuro. Per un momento mi piace però immaginare che quel telo lo abbia portato un uomo, un adulto che torna a casa nel suo elegante vestito da ufficio, il nodo della cravatta ancora ben stretto, un uomo che apre la porta, appoggia la borsa di cuoio sul pavimento, accarezza il gatto che dormicchia sul divano, si toglie la giacca, riscalda nel microonde una confezione di quattrosaltinpadella, un uomo che apre l’armadio e cerca un lenzuolo vecchio ma non troppo, apre la borsa di cuoio e ne tira fuori la bomboletta che è andato a comprare in un negozio di fai da te durante la pausa pranzo, si siede sul divano cercando di non disturbare il gatto, guarda un film e un paio di telegiornali, e quando è l’una prende il lenzuolo, lo piega per bene, esce di casa, sale in macchina, guida mezz’ora e arriva di fronte al grattacielo bianco e compie questo gesto stupido, ridicolo agli occhi di chiunque tranne che ai suoi. Mi piace immaginare anche che pure agli occhi di lei quel gesto non sia ridicolo, non lo sia troppo, che la mattina dopo, uscendo di casa per andare in ufficio, rallenti il passo per la sorpresa e accenni un sorriso. Sulla stradina che costeggia il grattacielo e i due alberi passa un gruppo di cinque ragazzi, avranno sedici o diciassette anni, stanno andando a scuola, magari uno di loro è l’innamorato del lenzuolo.