Cowboy
Il ragazzo fa quel movimento, quello che vede fare dai tennisti in televisione, gira la testa e porta in avanti la spalla, e così asciuga per qualche secondo la fronte e gli occhi dal sudore della giornata caldissima. Nella via che porta alla piazza della chiesa c’è il silenzio totale delle tre del pomeriggio di una giornata molto calda. Il ragazzo stringe gli occhi, il lastricato chiaro riflette la luce del sole a picco. Gli viene in mente uno di quei film western che il padre gli faceva vedere quando ancora abitavano insieme, il cowboy che va incontro al suo destino camminando lentamente come se tutti i pesi del mondo gli facessero compagnia, accomodati sulle sue spalle stanche. Adesso il padre lo vede una volta ogni due settimane, e non ne sente nostalgia, se non ogni tanto quando non riesce a prendere sonno e il giorno dopo lo aspetta un compito in classe per il quale non ha studiato abbastanza, e si sente come quel cowboy. Alle sue spalle gli amici si stanno ancora tuffando nel fiume che attraversa il paese, per poi lasciarsi trascinare dalla corrente fino a quando questa non li porta vicini alle sponde sulle quali si issano con la forza dei nervi, ché i muscoli a sedici anni non sono abbastanza per arpionare il cemento ruvido con le mani e tirarsi su sicuri e spaventati davanti alle ragazze che si sono tolte la maglietta per prendere il primo sole vero dopo l’inverno eterno. Il ragazzo non aveva più voglia, e non c’era nessun bikini che lo interessasse per davvero: quello che voleva non stava lì, e non aveva risposto al suo messaggio – siamo al ponte vecchio, ti aspetto. Dal bar della piazza della chiesa esce la voce dello speaker del telegiornale, il ragazzo si chiede chi mai può stare tutto il giorno a guardare un canale di sole notizie, sempre le stesse, ripetute cento volte. Dalla via che collega il paese alla statale sbuca un signore anziano, il ragazzo lo conosce, lui in paese ci è nato e cresciuto, non è di quelli che sono arrivati dalla città al seguito di genitori che cercavano un tre locali e un mutuo che non gli togliesse il sonno per il resto della vita. Il signore anziano si ferma davanti alla piccola cappella eretta in ricordo dei caduti in guerra, dieci cognomi ripetuti sette, otto, nove volte e due proiettili di obice messi ai lati come due chierichietti di ferro e polvere da sparo. Il ragazzo tira fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans, lo guarda, passa alle spalle del signore anziano che chissà cosa sta pensando – se ancora riesce a pensare – e attraversa la strada.