Mario
Il viale che porta al cimitero è un pezzo di asfalto dritto come una stecca da biliardo, a destra si tiene la fabbrica e a sinistra le ville basse con il giardino ben tenuto, fino a quando esce dal paese, passa sotto gli alberi e poi supera anche quelli e tutto quello che rimane è la striscia di mezzeria sotto il sole piatto delle due del pomeriggio. Una volta passato il cancello di ferro senti solo il suono lontano di un aereo che tra poco atterrerà a Orio al Serio, e non chiedi di meglio in una giornata nella quale le sole parole che hai detto sono state “un biglietto, grazie” e “questo posto è occupato?”. La prima tomba a sinistra è uguale a tutte le altre di quel lato, un pezzo di pietra basso, scolpito grezzamente a forma di croce, incrostato di muschio rinsecchito dal tempo e dal caldo. Mario è nato il venti febbraio del millenovecentoventinove, ed è morto lo stesso giorno. Le prime quattro o cinque file, dodici croci per ciascuna, ricordano bambini, i figli dei lavoratori del villaggio operaio costruito intorno al cotonificio. Morti dopo una settimana, dopo quattro mesi, dopo al massimo tre anni. Una croce porta due nomi, due fratelli, senza data di nascita né di morte. C’è una lampadina elettrica che esce dal punto in cui i due bracci della croce si uniscono, ed è accesa. Qualche tomba è adornata da fiori di tela stinti. Mario non ha fatto in tempo a fare nulla, forse non ha nemmeno avuto il tempo di piangere: non ha giocato, non è andato a scuola, non ha nuotato nell’Adda che scorre a poche centinaia di metri in mezzo a boschi e colline e alti ponti di ferro; non è andato in fabbrica, non ha detto due parole sbagliate a una ragazza, non ha letto un libro, non ha messo da parte i soldi per una bicicletta. Mentre sto uscendo arriva una coppia di mezza età, fanno quattro passi, lei si china e accarezza una croce, lui resta ritto e le indica una tomba più distante, custodita da una pianta di fiori gialli, veri.
[Cimitero del villaggio operaio di Crespi d’Adda]