La stessa età, lo stesso giorno
Ho sempre avuto passione per i cimiteri – niente di morboso, sono solo abbastanza convinto del fatto che si capisce molto della vita (almeno di quella di una città, di un paese) guardando come ne viene celebrata e conservata la morte. Poi ci sono i cimiteri di guerra, e quelli sono una storia a parte; perché non importa la dimensione, se enorme come quella del cimitero di Omaha Beach o minuscola come quella del cimitero del parco di Trenno a Milano, non importa se i soldati sepolti sono fanti o aviatori o carristi o parà, non importa se sono tedeschi o inglesi o americani o italiani – c’è che guardi le lapidi, e dopo averne viste dieci e venti e cento quei numeri e quelle lettere vengono fuori dal marmo come in una puntata di Numbers, e realizzi l’ovvio, che è pure il tragico, e cioè che avevano tutti più o meno la stessa età, morirono tutti più o meno negli stessi giorni, quelli delle battaglie, dei bombardamenti, dei trasferimenti in massa, degli sbarchi, e tutti, tutti, tutti a mille miglia da casa, da casa loro.
(A Rimini, sulla strada per San Marino, c’è questo piccolo cimitero di guerra del Commonwealth, ha 614 tombe di fucilieri Gurkha, nati in Himalaya e venuti a morire in Romagna. E’ un sacco di strada, per un ragazzo di diciannove anni)