Greetings from Beograd – Il puzzle nella neve
Abbiamo troppo poco tempo, giusto due ore buche – come a scuola – tra la fine degli incontri con le aziende che stiamo selezionando e il rientro in aeroporto dove ci rimetteremo a telefonare e mandare mail proprio come se fossimo in ufficio, con la sola differenza che qui non c’è la macchinetta del caffè. Il tassista ci chiede dove vogliamo andare, e noi diciamo in centro, lui risponde centro dove, fai tu e allora fa lui, all’inizio della zona pedonale. E’ la prima volta che vengo qui, probabilmente non sarà l’ultima e mi faccio l’idea che a maggio dev’essere tutto sommato un bel posto (ma forse tutti i posti sono belli a maggio, anche Marghera e la Falchera a Torino). Però oggi fa freddo, c’è nell’aria quell’umido che viene appena prima della nebbia, la neve sporca a grandi mucchi intorno ai pali della luce e lungo i marciapiedi, un grigio uniforme che dà l’idea di fumo di carbone e tapparelle sbilenche. Come al solito inizia il deja vu delle somiglianze, questo palazzo sembra Bucarest, e questa via il quartiere della sinagoga di Varsavia, quella banca? che ne pensi? beh, Salisburgo e così via, a mettere insieme pezzetti del puzzle mentre camminiamo verso la fortezza, quella che dà sul fiume, dove i cartelli dicono stai attento che se cammini qui rischi la vita e in effetti basterebbe mettere male un piede sul ghiaccio per volare trenta o quaranta metri più in basso – entriamo in una chiesa serbo-ortodossa e finalmente ci sono colori e caldo, gli ori delle decorazioni, le icone, le candele sottilissime come lunghi stuzzicadenti, una donna ferma davanti a un Cristo, lei che guarda lui e lui che guarda lei perché sono messi alla stessa altezza, un ragazzo che entra di fretta, bacia un dipinto della Madonna e si fa quel segno della croce con il terzo tocco sulla spalla destra, sarebbe quasi da fermarsi qui penso, devo cercare la maglia di Stankovic, mi dice. Andiamo, tanto lo sappiamo che qui torneremo.