Greetings from Sežana – Dove fermano i treni
Ho una mezz’ora di tempo. Esco dall’autostrada, entro a Sežana, la attraverso. Cerco il cartello con il simbolo del treno, giro a sinistra. La scritta, nera su fondo bianco, dice Zelezniska Postaja, stazione ferroviaria. Parcheggio, entro aprendo quella che potrebbe essere la porta di una casa qualunque, mi lascio sulla sinistra un tavolo di legno solitario e sulla destra lo sportello della biglietteria, che ha chiuso alle 17.35. Ha cinque binari la stazione di Sežana, più un dedalo di altri sui quali riposano vagoni merci e locomotive sperdute in quantità incomprensibile. Al terzo binario sta fermo un treno fatto da due carrozze, che i graffiti dei writer sloveni hanno reso un’opera di pop art. Un uomo anziano sta seduto su una sedia posta a fianco dell’entrata dell’ufficio del capostazione, e guarda fisso nel vuoto. Da Sežana partono i treni, e a Sežana i treni si fermano. In senso letterale, perché qui inizia e finisce la linea ferroviaria slovena da questa parte del paese, l’Italia sta a una manciata di chilometri ma la linea ferrata è spezzata, da Trieste a Ljubljana non c’è modo di andare in treno, puoi solo salire a Opicina, e da lì spostarti a Sežana e poi prendere uno di questi treni eterni, centocinque minuti per ottanta chilometri. Mi guardo intorno, il bar è vuoto, c’è il silenzio ventoso dei film western di serie B, della stazione di Malles Venosta dove andavo a tirare sassi pigri nelle domeniche di libera uscita, della stazione di Iscra delle Ferrovie Compartimentali della Sardegna sulla linea Macomer-Nuoro dove stavo a fissare inebetito la porta scrostata di un ufficio buio nella cui oscurità riluceva l’ottone di un telegrafo. In pochi passi guadagno l’uscita, mi fermo davanti al cartello arancione delle partenze, faccio quattro conti, chissà quanto ci vuole per arrivare a Istanbul.