Greetings from Shanghai 2012 – Size matters
Per andare a Wuxi prendiamo la linea 2 della metro di Shanghai, partendo dalla fermata di People’s Square, che alle otto del mattino è solo incredibilmente grande e affollata. Arriviamo fin quasi al capolinea, alla stazione di Hongqiao, che alle nove del mattino è solo incredibilmente sterminata e occupata militarmente da file britanniche di passeggeri in attesa che le porte di accesso ai binari sulle quali campeggia la scritta “No ticket no boarding” si aprano, per chiudersi rigorosamente tre minuti prima della partenza del treno. Guardiamo i centotrentacinque chilometri di cavalcavia, grattacieli, paludi, alberi e pagode scorrere in trentadue minuti netti. Scendiamo a East Wuxi, do un’occhiata veloce a Wikipedia e apprendo che stipate in milletrecento per chilometro quadrato nel distretto locale abitano poco meno di sei milioni e mezzo di persone – chiedo al mio collega se aveva mai sentito nominare questo posto che è più popolato di diciannove delle venti regioni italiane e lui mi guarda come per dire “secondo te? hai idea di quante città così ci siano in Cina?”. Arriviamo a Xinqiao Town negli uffici dell’azienda con cui abbiamo appuntamento, un gruppo tessile che si è costruito un headquarter a somiglianza del Reichstag e ha pure una propria bandiera rossa con un cerchio bianco che contiene una scritta nera, che a vederla da lontano mossa dal vento ci impieghi un po’ a realizzare che non è una svastica. Il proprietario è un signore che ama i cavalli, e quindi per suo diletto si è costruito una struttura da dressage, adornata da tre sobri mulini a vento più grandi di quelli di Kinderdijk, che si è meritata un qualche posto sul Guinness dei primati. E’ tutto, tutto, tutto enorme, tutto quello che vediamo in questi giorni è enorme, i suoni che sentiamo sono enormi, il traffico che ci blocca è enorme, la quantità di gente che passeggia sul Bund è enorme, i quartieri popolari sono enormi, è enorme il nostro stupore anche se entrambi ci siamo già stati da queste parti – e loro, i cinesi dico, passano davanti a tutto questo apparentemente indifferenti, senza orgoglio, senza we are number one, come se tutto fosse solo la necessaria e inevitabile conseguenza della loro semplice esistenza sulla terra.