Stories of the Bund – Migranti
Non so da dove arrivano, né chi li porta, con quali mezzi, a che ora del giorno o della notte. So che ogni tanto li vedo, seduti su un marciapiede vicino al pub dove ogni tanto mi fermo mentre ritorno a casa oppure alle spalle del teatro dell’opera. Hanno facce stanche, a volte inebetite, siedono accanto a grandi sacchi di plastica o di tela, talvolta su valigie stremate quanto loro. In quei sacchi e in quelle valigie sta tutto quel che hanno: che è poco, come dicono i loro vestiti, le loro scarpe e i loro occhi. Sono migranti, e qui a Shanghai – come in tutte le grandi città cinesi – rappresentano una figura sociale ben definita, e di dimensioni terrificanti: secondo le ultime rilevazioni pubblicate nell’ultimo anno poco meno di nove milioni e mezzo di persone sono arrivate qui dalle aree rurali per passarci almeno sei mesi continuativi. Nove milioni e mezzo. Di tutte quelle che incontri, più di una persona su tre (la città ne contiene oggi ventiquattro milioni) è, appunto, un migrante: qualcuno che ha lasciato il suo paese ed è venuto qui a cercare lavoro. Lavoro a basso prezzo nella città più cara del paese, dove il comune mette mensilmente all’asta le targhe delle macchine di futura immatricolazione e a gennaio si sono pagati fino a ottantaseimila reminbi, grosso modo undicimila euro, per poter far circolare le proprie quattro ruote. Sono contadini, vengono da ogni dove, si adattano in ogni dove, parlano dialetti che nessuno capisce ad eccezione dei conterranei sui quali contano come primo appoggio per sopravvivere ad una megalopoli che spesso intimorisce pure noi occidentali, guardano smarriti il traffico feroce, tossiscono per l’inquinamento fuori da ogni loro esperienza, a volte muoiono senza che nessuno se ne accorga. C’è una Shanghai dickensiana (ma lo stesso si potrebbe dire per Beijing, Shenzhen, Guangzhou e decine di altre città) fatta di milioni di persone senza nome che in pochi mesi si bruciano i risparmi di una vita solo per sopravvivere nella megalopoli. Sono sempre di più quelli che capiscono che il sogno può essere un incubo, e tornano a casa: dove però spesso non hanno più la terra, né la casa che gli è stata espropriata durante la loro assenza. A guardarla dall’alto, la Cina sembra un reticolo di enormi formicai. Vicino ad alcuni di questi qualcuno, più o meno inconsapevolmente, ogni tanto avvicina un fiammifero, e allora tutto può succedere.