Stories of the Bund – Come puoi pensare tu di difendermi da me
Passiamo molto tempo insieme, tra colleghi. Ancora più di quanto non ci succeda a Milano, a Torino, a Genova, a Mantova, a Roma, nei posti dai quali veniamo e nei quali diversi di noi torneranno a breve. Perché qui i colleghi sono realmente il tuo mondo, le persone con le quali lavori ma pure quelle con le quali esci a mangiare, a bere, a fare due passi, a comprare un vestito o un orologio, a fare quattro chiacchiere prendendo il sole in un giorno di primavera: sono i primi che incontri una volta sceso dall’aereo e svuotate le valigie, e la maggior parte di loro te li porti dietro come un bambino con i suoi peluches. Siamo tutti nuovi gli uni per gli altri, con pochissime eccezioni: e finiamo per essere nuovi anche a noi stessi, trovandoci diversi da quel che siamo di solito. Più allegri o riflessivi, guasconi o silenziosi a seconda del gruppo e delle situazioni: si capisce da lontano che tutti ci adattiamo, ci vogliamo adattare agli altri, qualcuno che ha studiato direbbe perché siamo animali sociali, ma la verità è che abbiamo un bisogno feroce, lontano e profondo di non sentirci dei naufraghi più di quanto non lo siamo veramente. E forse è per questo che i momenti di solitudine cercata, quelli che ti portano in un parco cimiteriale enorme, sperduto e silenzioso in un sabato che precede una domenica di lavoro hanno un sapore dolce, che non è di perdita ma di riconquista – quella del tuo vecchio io, quel che in fondo sei davvero, lo eri prima, lo sarai dopo, lo sei qui e ora quando non ti guarda nessuno.