Greetings from Beijing – Un altro paese
Passare da Shanghai a Pechino è come andare da Barcellona a Francoforte, un po’ per il clima, un po’ per l’aria che ci respiri – da una parte i bon vivant, dall’altra quelli che se non ci fossimo noi a tenere in piedi la baracca. Ma sono solo sensazioni: qui ci sono meno colori, meno grattacieli e più grandi palazzi, moltissime bandiere nazionali, le strade sono lunghissime larghissime e drittissime, il traffico è sempre pesante ma molto meno schizofrenico. E’ un altro paese, come Milano è altro da Roma e Torino è altro da Napoli, ed è lo stesso paese nell’inurbazione, nel modo di trovare una soluzione ai problemi che l’approssimazione eletta a stile di vita necessariamente va a creare, nella scelta di prendere alcuni pezzi di Occidente, comprarli e usarli ostentandoli e prenderne altri, comprarli e svuotarli per renderli propri senza che questo sia troppo evidente. In diversi mi hanno detto, facendo il confronto con Pechino, “ah, ma Shanghai non è Cina”. Io mi guardo intorno e cerco di capire come una città, per quanto più grande della Campania, possa essere altro e più di una città, mi chiedo cosa significhi “essere Cina” quando quelle quattro lettere indicano un miliardo e mezzo di persone, cinquanta e passa etnie diverse con le loro lingue, culture, tradizioni, climi: è che abbiamo sempre bisogno di semplificare per non perdere la testa, per illuderci di avere le cose sotto controllo almeno nella nostra testa; la verità è che non sappiamo mai niente delle vite che stanno fuori da quelle che compongono i nostri microcosmi, figurati quando di vite, nei tuoi dintorni prossimi, ce ne sono venti milioni.