I quattrocento ostacoli (avevo torto)
C’è una gara, tra le molte dell’atletica leggera, che si dice essere la più dura in assoluto. I quattrocento ostacoli, un giro di pista fatto alla massima velocità con in mezzo un certo numero di ostacoli da saltare. Dicono che ti ammazzi, quella gara: in senso figurato, certo; dicono che l’ultimo rettilineo, quando hai i muscoli pieni di acido lattico e ci sono ancora due o tre ostacoli alti un metro da affrontare senza rovinarci sopra sia un supplizio inenarrabile. E’ una gara che a guardarla spezza il cuore, vedi questi ragazzi che partono come schegge, che saltano leggeri, puliti, senza un’incertezza o una sbavatura, ogni trentacinque metri non devono nemmeno accorciare il passo, staccano da terra e a terra ritornano senza fare una piega; va avanti così per duecento, duecentocinquanta, a volte trecento metri. Poi il dramma, alla fine dell’ultima curva, all’inizio dell’ultimo rettilineo. Lì c’è sempre qualcuno che si pianta, quello che è partito troppo forte, quello che senza rendersene conto ha fatto un passo più corto di venti centimetri e perde il riferimento, quello che la fatica viene fuori tutta insieme come un ladro che sbuca da un angolo e ti dà una botta sulla nuca; quello che, al penultimo o – peggio ancora – all’ultimo ostacolo, cade.
Negli ultimi due mesi ho guardato Pierluigi Bersani percorrere quell’ultimo rettilineo. E’ uscito dalla curva con il volto sereno di uno che sa cosa sta facendo, con la sicurezza di avere ancora tutte le energie necessarie a correre i cento metri che restano e pure qualcuna in più. Io ero sicuro che Bersani aveva tutte le capacità per vincere, ero sicuro che avrebbe vinto. Non stravinto, magari. Ma vinto sì, e anche bene. Avevo torto. I quattrocento ostacoli non sono trecentocinquanta o trecento. Sono quattrocento. Li devi correre tutti, li devi correre bene dal primo all’ultimo, e non devi sbagliare nulla. Lui non ne è stato capace, e a me dispiace, e molto: l’ho visto rallentare prima, e poi confondersi, e colpire col piede il penultimo ostacolo, atterrando barcollante per poi franare in pieno sull’ultimo. E’ ancora in piedi, il Bersani sul quale avevo puntato i miei pochi Euro, ma la gara l’ha persa, e l’ha persa male. Avevo torto.
PS – Avevano ragione gli altri? Quelli che avevano puntato su un altro quattrocentista? Se la metafora atletica fosse sostenibile fino in fondo, la risposta sarebbe sì, certo, avevano ragione gli altri. In realtà io credo di no, continuo a credere che anche loro avessero torto. In fondo, questa è la cosa che mi rattrista di più.
April 19th, 2013 at 23:49
[…] Squonk, “I quattrocento ostacoli (avevo torto)”: Poi il dramma, alla fine dell’ultima curva, all’inizio dell’ultimo rettilineo. Lì c’è sempre qualcuno che si pianta, quello che è partito troppo forte, quello che senza rendersene conto ha fatto un passo più corto di venti centimetri e perde il riferimento, quello che la fatica viene fuori tutta insieme come un ladro che sbuca da un angolo e ti dà una botta sulla nuca; quello che, al penultimo o – peggio ancora – all’ultimo ostacolo, cade. Negli ultimi due mesi ho guardato Pierluigi Bersani percorrere quell’ultimo rettilineo. se lo dici tuCondivisioneGoogle +1FacebookLinkedInTwitterEmailMi piace:Mi piace Caricamento… Scritto da plus1gmt Pubblicato in alcuni aneddoti dal futuro degli altri […]