You make me wanna shout
In una delle Palladium Lessons Alessandro Baricco dice, a proposito di Proust, che gli capita spesso di leggere sue cose, pensare “ma è vero? ha ragione?”, rispondere “certo che no” eppure decidere di crederci lo stesso per il solo e ottimo motivo della bellezza perfetta con cui quelle cose sono scritte. Ci pensavo ieri sera, quando dopo duecento minuti Bruce Springsteen ci ha detto “ho suonato in tanti posti, ma questo – San Siro – è uno di quelli speciali, che sta qui”, e ha appoggiato il pugno sul cuore. Perché lo so, lo sappiamo tutti che uno spettacolo come quello, nella sua perfezione fatta di centinaia di dettagli che si incastrano come meccanismi di un orologio – i tempi, i cambi delle chitarre, le corse sotto il palco, la scelta dei cartelli dei fan, la bambina che canta a cappella, le ragazze invitate a ballare sul palco, gli “I love Milano”, le luci, le docce con la spugna e tutto, tutto il resto – non è il frutto della discesa in terra dello Spirito Santo degli artisti ma di un lavoro enorme e maniacale: puoi improvvisare soltanto quando conosci tutto talmente bene da arrivare a tanto così dalla nausea che l’improvvisazione non è più tale ma è quel che deve essere, una variazione sul tema. Ci interessa tutto questo? No. Sappiamo che è così, ma non ci importa, nel momento in cui lo dice noi crediamo che lui ci ama uno per uno, che Milano è un posto speciale tra i centomila dove ha suonato, che è tutto semplice e naturale come prendere una chitarra in mano e suonare quattro accordi, lo crediamo e glielo vorremmo gridare come gli gridiamo grazie, grazie per essere qui, grazie per le cose che ci dici, è così bello credere alle tue bugie per poterle raccontare, per poterle gridare a tutti quelli che stasera non erano qui.