Il corso degli eventi
Sono anni che lavoro in posti dove non viene richiesto un abbigliamento particolarmente formale. Non ho bisogno di andare in ufficio, quando ci vado, in abito e cravatta. Ci pensavo poco fa, che in questi anni quei piccoli gesti – prendere una cravatta, chiudere l’ultimo bottone del collo della camicia, fare il nodo, stringerlo nel modo migliore possibile evitando pieghe e cedimenti durante il giorno – sono diventati un modo per affrontare la giornata in arrivo, per convincermi che il corso degli eventi possa essere influenzato da quel pezzo di tela, per realizzare il sogno proibito che l’abito possa veramente fare il monaco. A volte vorrei chiederlo a qualcuna tra le mie colleghe, non a quelle che ogni giorno sono belle e perfette, ma a quelle che di solito sono vestite “normali”, se quel vestito bello che oggi indossano, quella scarpa con il tacco giusto, quel trucco non affrettato che hanno oggi siano il loro modo di farsi coraggio per la riunione delle undici, per il debrief da passare alle operations, per passare non dico senza danni ma persino con soddisfazione le dodici ore tra l’uscita e il ritorno a casa. Qualche giorno fa ascoltavo Alessandro Del Piero rispondere alle domande di Federico Buffa, e dirgli che sì, è vero, che quando indossi quella maglia ti senti più forte e sei più forte: tutto sta a crederci, ed è quella la cosa che costa fatica, e impegno, e costanza, e dedizione, e una certa forma di infantile incoscienza che non vuoi ammettere nemmeno a te stesso.