Telefonami tra vent’anni
Questa mattina dovevo fare una telefonata, una cosa di lavoro. Digito le prime tre, quattro lettere, eccolo lì il cognome da chiamare, e poco sopra lo stesso cognome, giusto una vocale in più (adesso che ci penso: stessa città, forse stesse origini, vai a sapere), un attimo di smarrimento per realizzare che no, ma quell’uomo non c’è più, è morto.
Le rubriche sono così, stratificazioni di aziende – colleghi, fornitori, clienti, vediamo-se-quest’anno-riusciamo-a-firmare-il-contratto – e parenti e amici, e amici degli amici lungo i sei gradi di separazione che ti dividono da chiunque, gente che non senti più da due o tre vite fa, che chissà quanti numeri ha cambiato nel frattempo ma intanto il nome tienilo lì che può sempre servire, così, per anni e anni da un backup all’altro, Spoon River portatile in 3G – e il tuo nome fa la stessa fine in cento altri telefoni, e questo chi cazzo era, il nome mi dice qualcosa, chissà se è ancora vivo, cosa fa, dove sta.