Puzzle
Il puzzle viene dispiegato sul tavolo di legno di un pub. Nella sala a fianco due ragazzi uccidono una canzone con la serena incoscienza dei brufoli. Viene fatto spazio, si spostano i bicchieri di birra e i cestini dei toast caldi, stai attenta a quel sedile ché è rotto. Sembra tutto perfetto, gli incastri precisi, la figura nitida – è un mosaico fatto da pochi pezzi, semplice. Eppure, senza una ragione precisa né una valida spiegazione, c’è posto anche per un’altra tessera, un po’ diversa dalle altre, come se fosse stata fabbricata da qualche altra parte, in un altro luogo, da qualcuno che parla un’altra lingua. Non c’è nemmeno bisogno di spingere, di forzare – come in una buona famiglia, di quelle che si ritrovano con le proprie consuetudini, i propri tic, le proprie battute che nessun altro capirebbe tutto è al suo posto, e senza fatica. Passa la cameriera, prende l’ordinazione del secondo giro, se ne va, ritorna perché sono due rosse e una chiara o due chiare e una rossa, butta un’occhiata al puzzle, pare che sorrida.