Come in un duello
Il gruppo di uomini si incammina lentamente verso la piccola chiesa in pietra che per tanti anni hanno visto chiusa, e che di lì a poco ospiterà un matrimonio. Parlano di lavoro, macchine, vacanze, calcio, genitori che invecchiano, chili di troppo. Nel parcheggio rimane un uomo che cura il pentolone sul fuoco. Guarda il rettangolo di asfalto rugoso, un parcheggio di montagna del quale conosce ogni centimetro. Socchiude gli occhi, rivede fantasmi e ricorda suoni, tutti lì in quei duecento metri quadri che si accavallano come esposizioni multiple della stessa fotografia. Si volta a controllare quanto manca alla bollitura dell’acqua della pasta, si versa un bicchiere di rosso. Quando si gira vede, all’estremo opposto del parcheggio, quello dove non si doveva tirare troppo forte perché altrimenti il pallone sarebbe caduto fino alla pianura come una slavina inarrestabile, una macchina grigia. Vede anche scenderne una donna, elegante in un tubino che potrebbe essere lilla, o blu, o viola – i maschi non sanno dare i nomi ai colori, e il sole gli fa stringere gli occhi, gli sfuoca la vista. La guarda, vede i capelli neri lisci che cadono sulle spalle, le scarpe e la borsetta e un bracciale sul polso destro che sembrano essere dello stesso colore dell’abito. Potrebbe essere un’invitata al matrimonio, ma a lui pare di conoscerla. Lei si gira verso di lui, lo guarda, ma è troppo lontana perché si possa decifrare il piccolo movimento delle labbra sottili che a lui sembra di intuire. Per pochi eterni secondi si guardano, distanti e diversi, come in un duello di un film, lei irreale come i fantasmi che pochi minuti prima popolavano il parcheggio. Quando chiude la portiera della macchina e muove il primo passo per andarsene lui muove la bocca per dirle qualcosa; ma non sa cosa dire.